1. «Ascoltate questo, voi che calpestate il povero e sterminate gli umili del paese, voi che dite “Quando finirà il novilunio, e si potrà vendere il grano? Quando finirà il sabato, perché si possa smerciare il frumento, diminuendo l’efa, aumentando il siclo, falsificando le bilance per frodare […]? E venderemo anche lo scarto del grano”» (Libro di Amos, 8, 4-6).
Sono alcuni passi dell’invettiva del profeta Amos – VIII secolo a. C. – contro chi fa dell'economia materiale il valore supremo, rischiando di calpestare i poveri in nome del profitto. Questi uomini sopportano con insofferenza i giorni di riposo liturgico – il novilunio e il sabato – in quanto vengono a spezzare il ritmo frenetico del loro commercio; non hanno pudore a ridurre la capacità dell’efa, ovvero del contenitore usato come unità di misura e ad aumentare così il valore monetario del grano venduto; non hanno pudore a vendere anche lo scarto del grano, e a falsificare le bilance a scapito dei poveri.
2. Al III secolo a. C. ci riporta l’aneddoto raccontato dallo scrittore latino Vitruvio, relativo ad Archimede e alla corona di Gerone. Ai paragrafi 9-12 della Prefazione al libro IX del suo trattato sull’architettura (De architectura), Vitruvio ci racconta che il tiranno di Siracusa, Gerone, commissionò ad un abile artigiano una corona votiva, consegnandogli l’oro necessario per realizzarla. Alla consegna, si procedette alla verifica del peso e si constatò che il peso della corona corrispondeva esattamente a quello dell’oro consegnato. Sorto in seguito il sospetto che l’orafo avesse mescolato dell’argento all’oro, Gerone, irritato per la possibile frode, e non volendo che la corona, già offerta agli dei, potesse essere in qualche modo danneggiata, invitò Archimede ad intervenire. Un giorno che, tutto preso da questo pensiero, era entrato in un bagno, Archimede si accorse che mano a mano che il suo corpo si immergeva, l'acqua traboccava. Questa osservazione gli diede la soluzione del problema. Si slanciò fuori dal bagno e tutto emozionato si precipitò nudo verso casa, gridando con tutte le forze che aveva trovato quel che cercava (Eureka! Eureka!). Si racconta che allora immerse alternativamente in un grande vaso, pieno di acqua fino all’orlo, una massa d’argento e una d’oro, dello stesso peso della corona, osservando le conseguenti fuoriuscite dell’acqua: maggiore per l’argento e minore per l’oro. Dopo di che, riempì di nuovo il vaso e vi immerse la corona, che fece fuoriuscire una quantità di acqua minore dell’argento ma maggiore dell’oro. E fu così che l’inganno dell’orafo fu scoperto e reso pubblico (Libro IX, Prefazione, 9-12).
3. Nel I secolo d. C. sappiamo da Plinio il Vecchio (Naturalis historia / Storia naturale) che, nella Roma imperiale, in diversi modi si produceva una falsa alica, considerata un bene di lusso e molto richiesta: usando un tipo di zea africana, pestata con la sabbia e imbiancata col gesso; cuocendo i grani più grossi e bianchi di una qualche specie di frumento, facendoli quindi asciugare, inumidendoli di nuovo e macinandoli; imbiancandola con latte condensato al posto della creta del Leucogeo (v. Il piccolo mistero dell’alica).
Tre secoli diversi, tre mondi diversi, tre diversi esempi di frode volti – tutti – ad ottenere maggiori guadagni: ché il legame tra frode e profitto è antico quanto l’economia monetaria stessa; e frodi di vario genere sono presenti in ogni paese e in ogni epoca, nonostante i controlli e le sanzioni per porvi rimedio. Per quanto riguarda gli alimenti, abbiamo documentazione, nei secoli, di frodi relative al frumento, al pane, al vino, all’olio, alla birra, al burro, alle spezie, ecc.: anche se spesso, malauguratamente, le notizie sembrano essere date per scontate, senza gli opportuni riferimenti alle fonti.
Un esempio per tutti. In una tesi del Corso di laurea magistrale in Biotecnologie per l’alimentazione dell’Università di Padova, consultabile online, c’è un capitolo su Le frodi alimentari nella storia: vi si legge che i primi reati relativi ad adulterazioni e contraffazioni di alimenti risalgono ai primi scambi commerciali; ci sono informazioni interessanti sull’antico Egitto, l’antica Grecia, il diritto romano, l’India del IV secolo a. C., la Parigi del XIII e XIV secolo, l’Inghilterra del XVIII, ecc.. Come fonte, è indicato nella Bibliografia, un testo di Giorgio Nebbia, ovvero Aspetti storici del problema del controllo della qualità delle merci nel mondo antico e nel Medioevo, in “Quaderni di Merceologia”, 1, 1, pp. 327 - 380 (1962): sennonché, anche nello scritto di Nebbia, non si trova alcun riferimento specifico alle fonti. Così come, purtroppo, nei vari siti internet che trattano l’argomento delle frodi alimentari nel mondo antico e medievale, si parla di carni e farina adulterate, birra ottenuta con bacche selvatiche, falsificazioni vinarie, burro vecchio e rancido colorato o mischiato ad erbe aromatiche che ne contrastassero il sapore ormai stantio, olio allungato e colorato… senza che però vengano mai indicate le fonti delle notizie. Peraltro, laddove si riesca a risalire alla fonte, sia nella tesi in oggetto che altrove, non è raro imbattersi in informazioni che in realtà si rivelano sbagliate. Nella tesi, ad esempio, si ricorda una sofisticazione del pane testimoniata da Plinio il Vecchio, secondo il quale, a Roma, i fornai avrebbero aggiunto alla farina «una specie di talco, una terra bianca che veniva raccolta in una collina fra Napoli e Pozzuoli»: ora, non solo, parlando di farina e panificazione, l’unico riferimento all’adulterazione della farina è relativo all’abitudine di aggiungervi farina di fave o «farina di ogni altra leguminosa e ormai anche del foraggio», al fine di «accrescere il peso del pane destinato alla vendita» (XVIII, 30); ma – ciò che più conta – la «specie di talco», la «terra bianca che veniva raccolta in una collina fra Napoli e Pozzuoli», altro non è se non la preziosa creta bianca del colle Leucogeo, usata per produrre l’altrettanto preziosa alica, e oggetto addirittura di un decreto di Augusto, come riferito in XVIII, 29 (v. Il piccolo mistero dell’alica).
Parlando di fonti, in relazione alle frodi commerciali e alle adulterazioni o sofisticazioni o contraffazioni alimentari nel mondo antico – e più precisamente nella Roma imperiale – Plinio è senza alcun dubbio una delle più importanti: anche perché nel suo trattato enciclopedico molta attenzione è prestata al commercio e ai vari prodotti, tutti attentamente descritti; e ampio spazio è dato anche ai prodotti ingannevoli più frequentemente presenti sul mercato stesso, nonché ai metodi per svelare le relative frodi.
Dei trentasette libri che compongono la sua Naturalis historia, fatti salvi i primi undici, che trattano di astronomia, meteorologia, geografia, antropologia e zoologia, a partire dal libro XII quasi tutti – quale più quale meno – contengono amare riflessioni sul decadimento dei valori, sulla ricerca sfrenata di ricchezza e di lusso, sulla mancanza di rispetto per la natura e i suoi ritmi, sull’ossessione degli arricchiti per l’ostentazione: il che comporta necessariamente continui riferimenti ai beni di consumo e al loro commercio, nonché ai modi per soddisfare l’imperante ricerca di profitto.
Significativa riguardo al ‘dio denaro’ e, più precisamente, riguardo al cibo, considerato simbolicamente dai ricchi come un marcatore dell’identità di classe, è l’invettiva presente in XIX, 19: ad una società in cui gli orti, con i loro alimenti salutari, erano fonte primaria di sussistenza, e in cui per tutto il necessario ci si riforniva in ambito domestico, Plinio contrappone una sorta di mondo impazzito, in cui si rischiano naufragi per procurarsi varie specie di ostriche, si va a caccia di uccelli rari, si lotta con animali feroci per catturare qualche specie di animale strano da imbandire a tavola, si va in cerca oltremare di prodotti di ogni sorta. Inoltre, si disdegnano i cibi semplici e gradevoli, si usano procedimenti di coltivazione tesi ad ottenere frutti ricercati per sapore e dimensioni, si filtrano i vini e li si invecchia al punto che tutti possono bere vini nati addirittura prima di loro, si produce una cosa come l’alica utilizzando solo il fior fiore dei cereali, i fornai si danno a preparazioni elaborate e piene di decorazioni, il pane non è più lo stesso per tutti ma ce n’è uno per i nobili e uno per la gente comune, e tutta l’alimentazione si differenzia a seconda dei gradi sociali. Per di più, si è arrivati persino ad escogitare distinzioni negli ortaggi: cavoli così giganteschi da non poter stare su una mensa modesta, asparagi coltivati al posto di quelli di bosco che la natura metteva a disposizione di tutti... Anche le acque vengono distinte sulla base del denaro, e c’è chi beve neve e chi vuole il ghiaccio, e si fa in modo di avere neve e ghiaccio anche nei mesi caldi...
In tutto ciò, a prescindere da quelle relative a pane, vino e olio, non può stupire che gran parte delle frodi evidenziate da Plinio investa – come vedremo – il settore commerciale dei beni alimentari di lusso, unitamente a quello dei beni voluttuari: parliamo di spezie e piante medicinali esotiche, di resine preziose, di essenze per unguenti e profumi, di medicamenti strani e ‘miracolosi’, di gemme preziose, ecc..