Da diversi passi citati in precedenza, è già emersa l’attenzione rivolta da Plinio alle adulterazioni di rimedi medicinali tratti dalle piante (il lycium di XII, 15 e XXIV, 76-77; il galbano di XII, 56; il laser di XIX, 15). Un discorso più organico, in relazione alle frodi perpetrate in ambito medico, si trova però all’inizio del libro XXIV, dedicato alle piante officinali selvatiche: ed è un discorso che rientra appieno nella polemica di Plinio contro il lusso dilagante, unita in questo caso alla sua propensione all’autarchia.
Dopo avere elogiato i rimedi che la natura è in grado di offrire per le malattie – rimedi a disposizione di tutti, e facili da trovare –, stabilendo un legame fra la generosità della natura e la medicina, Plinio commenta: «Poi, le furberie fraudolente (fraudes) degli uomini e i guadagni prodotti dalle invenzioni fecero sì che si escogitassero questi laboratori, in cui si promette ad ogni uomo la propria vita in cambio di soldi. Ed ecco che, di punto in bianco, si decantano preparazioni e intrugli impossibili», e si fanno arrivare medicamenti dall’Arabia e dall’Africa e dall’India, come se fossero a due passi, mentre i poveracci si cibano quotidianamente di quelle che sono le vere medicine. Ed è così, inoltre, che il popolo romano, con tutte le sue vittorie, ha finito col diventare dipendente dai popoli vinti: è così che popoli stranieri, grazie all’esercizio della professione medica, hanno finito per dominare i loro dominatori (1).
E ancora, nei libri XXV, XXVI e XXVII, in cui si passano in rassegna le erbe officinali spontanee, riferimenti ad adulterazioni si trovano in almeno quattro passi, e precisamente in XXV, 11 e 38; XXVI, 38; e XXVII, 5.
Al capitolo 11 del XXV libro, a proposito del succo di quella che viene chiamata PANACEA (panaces), che promette rimedi per tutte le malattie, si accenna ad adulterazioni prodotte con la cera; al capitolo 38, dove si parla del succo lattiginoso della EUFORBIA, si racconta che i Getuli (popolazione nomade del Nordafrica) sono soliti adulterarlo col latte, ma – si aggiunge – la cosa è facile da scoprire, in quanto, col calore, il succo adulterato emana un odore sgradevole. In XXVI, 38, si afferma che il succo di scammonia – SCAMMONIO – viene adulterato in Giudea con «la farina di ervo e il succo del titimaglio marino (varietà di euforbia)». In XXVII, 5, infine, si accenna ad un COMPOSTO A BASE DI ALOE adulterato con gomma e acacia.
A partire dal libro XXVIII, esaurito il discorso sui rimedi tratti dalle piante, Plinio passa in rassegna quelli offerti dal regno animale, e anche in questo settore non manca la descrizione di prodotti adulterati: vi si parla, ad esempio, della CROCODILEA, un medicamento estratto dalle budella del coccodrillo terrestre, che «viene adulterata con l’amido, con la creta cimola (caolino), ma soprattutto con lo sterco degli storni ridotti in cattività e nutriti solo a riso» (28). E vi si parla anche di una sorta di COLLA DI TORO (glutinum) preparata con le orecchie e i genitali del toro, efficacissima per guarire le ustioni senza lasciare cicatrici, ma facilmente soggetta a contraffazioni, effettuate con la bollitura di qualsiasi pelle invecchiata e pure di calzari (71).
Andando avanti, il libro XXXI, dedicato, assieme al XXXII, ai rimedi salutari forniti dalle acque, dai loro prodotti e dagli animali acquatici, ha una lunga sezione riservata agli innumerevoli tipi di sale, naturale o artificiale, ai vari modi di produzione, alle loro origini geografiche, e al loro impiego in medicina. Interessanti per il nostro discorso sono i paragrafi relativi al SALE AMMONIACO, al FIOR DI SALE e al NITRO.
«Le distese della Cirenaica – vi si legge – sono celebri per il sale ammoniaco, così chiamato perché si trova sotto la sabbia […]. Viene falsificato col sale siciliano che abbiamo chiamato cocanico (in quanto estratto dal lago omonimo – oggi lago Biviere, a Gela), e anche col sale di Cipro, straordinariamente simile» (XXXI, 40). E ancora: «Si chiama anche fiore di sale una sostanza completamente diversa, di natura più umida, color zafferano o rossiccia, come una ruggine di sale, che, per il suo odore sgradevole […], differisce essenzialmente dal sale, e non solo dalla schiuma di sale (la schiuma che affiora ai bordi dei bacini non ancora prosciugati del tutto). Scoperta in Egitto, pare che sia trasportata dal Nilo; ma galleggia anche in certe sorgenti. La cosa migliore è che se ne ricava una sorta di grasso oleoso: ché, con nostro stupore, anche il sale contiene sostanze grasse. E però del fiore di sale si producono falsificazioni, usando come coloranti la terra rossa o, più spesso, terracotta pestata: frode che si può scoprire usando acqua per sciogliere il colore artificiale, laddove il colore vero si scioglie solo con l’olio, e i profumieri lo usano ampiamente per il suo colore» (XXXI, 42).
Infine: «Si riconosce la buona qualità del nitro verificando che sia finissimo, nonché molto spugnoso e poroso. In Egitto, viene adulterato con la calce, e lo si scopre al gusto. Quello puro, infatti, si scioglie subito, mentre quello adulterato ha un che di corrosivo a causa della calce e, cosparso leggermente, emana un forte odore» (XXXI, 46).
Nel libro XXXII, al capitolo 13, un lungo spazio è riservato al cosiddetto CASTORIO o CASTOREO, rimedio valido per moltissimi malanni, che altro non è se non i testicoli dei castori: dopo aver smentito la leggenda secondo cui i castori, una volta catturati, se li strapperebbero via da sé, spiegando anche che, per le loro minuscole dimensioni e la posizione, non potrebbero essere strappati senza causare la morte dell’animale, Plinio racconta che, con un procedimento particolare (il passo non è di facile interpretazione), i suddetti testicoli vengono contraffatti con i reni di quello stesso animale.