Falsificazioni, truffe, inganni vari riguardano anche metalli, leghe, materiali per la pittura, pietre, gemme, ecc.. Nel libro XXXIII, ad esempio, si parla dell’uso del litargiro al posto dell’argento vivo nella doratura del rame (20); si accenna alla contraffazione del minio (40) e dell’ocra (56); si rivelano possibili inganni nelle verifiche sulla qualità dell’argento (44). Non ultima, si ricorda la falsificazione delle monete (46). Nel libro XXXIV, il capitolo 26, dedicato al verderame e ai suoi innumerevoli usi, ne descrive tutte le possibili adulterazioni e contraffazioni (col marmo tritato, con la pomice, con la gomma, con la tintura nera dei calzolai), e spiega i modi in cui verificarne la qualità. Si racconta che il paretonio, prodotto originario dell’Egitto, ma che si fa anche a Candia e a Cirene («spuma maris solidata cum limo / schiuma di mare consolidata col fango»), viene contraffatto a Roma con creta cimola (caolino) cotta e poi fatta rassodare: si usa per intonacare e «il migliore vale 1 denario ogni 6 libbre» (XXXV, 18). Si afferma che esiste una sandracca contraffatta con biacca cotta in fornace (XXXV, 22); che l’indaco può essere falsificato con sterco di colombo, o creta selinusia, o creta anularia, ma che si riconosce quello autentico perché messo sul carbone acceso fa una fiamma color porpora ed emana profumo di mare (XXXV, 27). Di falsificazione dell’allume si parla al capitolo 52. E ancora, si dice che l’ematite è contraffatta con lo scisto (XXXVI, 37); che l’ambra può essere tinta artificiosamente col sego di capretto, con la radice di borragine o con la porpora, e che, vista la facilità con cui la si può tingere, è usata anche per falsificare le gemme trasparenti, in particolare le ametiste (XXXVII, 12); che gli Indiani falsificano gemme, tingendo il cristallo e soprattutto le varietà di berillo (XXXVII, 20); che anche il ciano è falsificato con una particolare tintura (XXXVII, 38). In questo blog, e in relazione ai più svariati argomenti, abbiamo spesso avuto modo di fare riferimento alla Naturalis historia di Plinio: il che non può stupire, visto il carattere enciclopedico di quest’opera, nella quale l’autore, ponendosi come scopo prioritario l’utilitas, condensa ed organizza tutto lo scibile allora conosciuto, basandosi su un numero impressionante di fonti, sia latine che greche. Abbiamo anche avuto modo più volte di ricordare il moralismo stoicheggiante di Plinio, il suo ‘passatismo’, la sua visione antropomorfica della natura: e, nel contestualizzare queste sue posizioni, abbiamo accennato alle rapide mutazioni del sistema economico-produttivo negli anni della prima età imperiale (v. in particolare I fichi: dalle tavole degli antichi romani alle nostre). In questi ultimi articoli, relativi alle frodi commerciali, abbiamo poi evidenziato a più riprese quanto grande sia l’attenzione da lui rivolta al commercio, alle merci, alle leggi di mercato, ai profitti: un’attenzione peraltro inevitabile, considerando i mutamenti politici, economici, sociali e culturali, intercorsi nel passaggio dall’età repubblicana all’impero, con le vere e proprie trasformazioni che segnarono di fatto la nascita di una nuova era, e col conseguente travolgimento degli antichi valori. Con la pace stabilitasi sotto il principato augusteo, con la fine dei disordini e delle sollevazioni e con la stabilizzazione del valore della moneta, era venuta a crearsi un’area economica molto estesa: il sistema stradale, vasto ed efficiente, permetteva ai mercanti trasporti facili e sicuri; la piaga della pirateria nel Mediterraneo si era dissolta e la conseguente sicurezza favoriva il commercio coi paesi d’oltremare. Oltre a ciò, si era notevolmente consolidata una classe media attiva negli affari e con notevoli interessi nell’industria e nel commercio, attività che erano venute via via acquistando una sempre maggiore considerazione sociale; lo Stato stesso aveva sempre più interesse per i traffici commerciali e i profitti che ne potevano derivare. Notevole era anche l’incremento produttivo, sia in Italia che nei paesi orientali e occidentali: e, ovviamente, l’aumento della produzione in tutto l’impero accresceva ulteriormente i flussi del commercio e la sua stessa organizzazione. Plinio, col suo desiderio di ritorno al passato, col suo rimpianto per un mondo agricolo perduto, con la sua condanna morale del lusso e della ricchezza, con la sua difesa degli antichi valori non ‘contaminati’ dall’incontro con altri mondi, con i suoi richiami all’autosufficienza economica, non poteva certo rimanere ‘neutrale’ di fronte alle nuove dinamiche intervenute nel commercio, né poteva tacere di fronte a quelle che definiva «arti dell’avidità». Non poteva non scandalizzarsi – come abbiamo visto –, per tutte le forme di ostentazione della ricchezza, per il lusso e gli sprechi degli arricchiti, per la brama generalizzata di profitto e per le conseguenti frodi nel commercio: abbiamo già citato numerosi passi che testimoniano delle sue censure – in particolare, l’invettiva di XIX,19 e la polemica sui medicinali ‘miracolosi’ di XXIV,1 (v. I. Il problema delle fonti e VI. La “Storia naturale” di Plinio il Vecchio – Frodi in ambito medico) – ma ben più numerosi sono i passi simili, disseminati in tutta l’opera. Particolarmente interessanti sono peraltro le ricche e articolate informazioni che Plinio ci fornisce sulle innumerevoli rotte della estesa rete di traffici, sulle infrastrutture e sulle iniziative industriali nei confini dell’impero; sull’organizzazione di alcune importanti imprese industriali e compagnie; sulle importazioni e le esportazioni; sulle produzioni caratteristiche dei vari paesi e sulle loro materie prime; sugli standard qualitativi dei prodotti; sull’intensità dei commerci; sulle fluttuazioni dei prezzi; sui modi in cui lo Stato poteva godere dei profitti del commercio e reinvestirli; e infine sulle cifre cospicue raggiunte dal volume del commercio stesso (sulla quota annuale delle esportazioni dall’India e su quella delle relative vendite al dettaglio, nonché sulle somme pagate dell’impero a India e Arabia per l’acquisto di beni di lusso, cfr. ad esempio VI, 26 e XII, 41).