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Filologia in pillole - 7. Conservazione e trasmissione dell’eredità classica nel Medioevo

2025-03-31 17:52

Claudia Pandolfi

Filologia, Cassiodoro, Alcuino, Benedetto da Norcia, Scrittori enciclopedici, Isidoro di Siviglia, Colombano, Aldelmo, Beda, Bonifacio, Pietro da Pisa, Paolo Diacono, Teodulfo d’Orléans, Lupo di Ferrière, Heiric di Auxerre, Raterio, Gerberto di Reims, Abate Desiderio,

Abbiamo detto qual


è la funzione primaria della filologia letteraria; abbiamo ricordato la sua


nascita e i suoi primi passi nel mondo occidentale; al problema della


conservazione e della trasmissione dell’eredità classica nel medioevo, abbiamo


accennato parlando dei materiali scrittorii e della produzione di libri; abbiamo


individuato nell’umanesimo la spinta verso lo sviluppo scientifico della


disciplina; abbiamo brevemente ripercorso le tappe della filologia moderna fino


al Lachmann e oltre.


Se ora ci soffermiamo sul Medioevo, alla


ricerca dell’eredità classica e delle grandi personalità che ne garantirono la


sopravvivenza, possiamo renderci conto di come, in tutte le sue diverse epoche


e in tutti i territori con le loro differenti situazioni culturali, letteratura


e filologia abbiano condiviso molti spazi in comune: ché, di fatto, i nomi che


a vario titolo possono comparire in una ‘storia della filologia’ sono in


grandissima parte, se non nella loro totalità, gli stessi che si ritrovano nella


‘storia della letteratura mediolatina’. In particolare, importanti per la


filologia sono da considerarsi Benedetto da Norcia, Cassiodoro, Isidoro di


Siviglia (e tutti gli scrittori enciclopedici), Colombano,  Aldelmo, Beda, Alcuino, Bonifacio, Pietro da


Pisa, Paolo Diacono, Teodulfo d’Orléans, Lupo di Ferrière, Heiric di Auxerre,


Raterio, Gerberto di Reims, l’abate Desiderio, Guglielmo di Malmesbury, Giovanni


di Salisbury, Nicola Trevet.


Benedetto (480-550), Cassiodoro (480ca.-575),


Colombano (543ca.-615), Bonifacio


(675-754) e l’abate di Montecassino Desiderio (1058-1087) legarono il proprio nome alle


istituzioni monastiche da loro fondate o dirette, che furono vere e proprie


fabbriche di manoscritti.


 


Isidoro (570-636) fu notoriamente


uno dei più autorevoli vettori nella trasmissione e spiegazione del sapere


antico, e le sue Origines sive Etymologiae (Origini o Etimologie),  rappresentarono il modello enciclopedico per


i secoli seguenti, finendo col diventare una sorta di prototipo (v. i dodici


saggi su Enciclopedismo, filologia,


poesia: l’eredità del Medioevo).


Aldelmo (639ca.-709), Beda (673-735) e  Alcuino (735-804) ci testimoniano di quanto


vaste fossero le letture degli studiosi inglesi nei secoli VII e VIII; di come


fossero a loro ben conosciuti autori quali Virgilio, Lucano, Persio, Giovenale,


Plinio il Vecchio, Cicerone, Ovidio, i grammatici latini, ecc.; di quanto ricco


fosse il contenuto della grande biblioteca di York.


E fu proprio a York, e nello specifico ad


Alcuino, che Carlo Magno si rivolse quando decise di creare una classe colta


partendo dal nulla: e fu con Alcuino a capo della scuola Palatina che la corte


di Carlo Magno divenne il centro di fruttuosi scambi fra poeti e studiosi di


tutta l’Europa, come Pietro da Pisa (m.799), Paolo Diacono (720-799), Teodulfo


d’Orléans (760-821): uomini, tutti, che si accostarono ai classici con grande


curiosità intellettuale. Nel bisogno generalizzato di libri, essi vennero


apprestati in misura senza precedenti, in una attività intensa che salvò per


noi la maggior parte della letteratura latina. Teodulfo, prima di morire,


preparò anche un’edizione della Vulgata –


ovvero la traduzione in latino della Bibbia ad opera di S.Girolamo  –, in cui adombrava i moderni


metodi editoriali, usando sigle ai margini per distinguere le fonti delle sue


varianti, come ad esempio a per le lezioni di Alcuino.


Ansioso di accrescere la biblioteca del suo


monastero, Lupo di Ferrières (805ca.-856) scrisse dappertutto alla ricerca di


manoscritti: compresi quelli di opere che già possedeva, al fine di poterli


usare per confrontarli coi propri e correggere gli eventuali errori.  


Heiric di Auxerre (841ca-876) pubblicò


raccolte di estratti da Valerio Massimo e Svetonio, fu il primo ad usare gli


estratti da Petronio che circolavano all’epoca, e gli va anche attribuita una


raccolta di testi rari sopravvissuta in un codice da lui stesso postillato.


Raterio (887ca-974) conobbe i testi rari di


Plauto e di Catullo, da lui trovati probabilmente in Francia; e un monumento


alla sua devozione per i classici è da considerarsi il più importante esemplare


della prima decade di Livio, che fu copiato a Verona seguendo le sue


istruzioni.


Attivo raccoglitore di libri fu Gerberto di


Reims (950-1003), che, in qualità di tutore di Ottone III, si trovò al centro


del risveglio intellettuale di questa corte: fu successivamente abate a Bobbio,


arcivescovo di Reims e di Ravenna e infine papa col nome di Silvestro II.


Guglielmo (m. 1143), il più grande


storiografo dell’epoca, come bibliotecario  di Malmesbury, aveva a disposizione una


biblioteca eccellente, che egli stesso provvide ad accrescere; gli si devono


inoltre raccolte di testi affini, quali ad esempio la silloge storica con


Vegezio, Frontino ed Eutropio; e gli si deve anche lo sforzo di mettere insieme


tutte le opere di Cicerone, compres un tentativo di edizione dei frammenti


dell’Hortensius e del De Re publica ricvavati dalle opere di


S. Agostino.


Le letture preferite di Giovanni di Salisbury


(1110-1180) furono Cicerone, Seneca e Valerio Massimo, ma si occupoò anche di


autori e opere non comuni, quali gli Stratagemata


di Frontino e l’Historia Augusta;


straordinaria fu inoltre la sua


conoscenza di tutto il testo supersite di Petronio. Nicola Trevet (ca.


1265-1335), domenicano, legato ad Oxford, ebbe una così grande fama per la sua


erudizione e la sua abilità di esegeta dei testi antichi che, dall’Italia, gli furono


commissionati i commenti alle Tragedie di Seneca e a Livio.