Abbiamo detto qual è la funzione primaria della filologia letteraria; abbiamo ricordato la sua nascita e i suoi primi passi nel mondo occidentale; al problema della conservazione e della trasmissione dell’eredità classica nel medioevo, abbiamo accennato parlando dei materiali scrittorii e della produzione di libri; abbiamo individuato nell’umanesimo la spinta verso lo sviluppo scientifico della disciplina; abbiamo brevemente ripercorso le tappe della filologia moderna fino al Lachmann e oltre. Se ora ci soffermiamo sul Medioevo, alla ricerca dell’eredità classica e delle grandi personalità che ne garantirono la sopravvivenza, possiamo renderci conto di come, in tutte le sue diverse epoche e in tutti i territori con le loro differenti situazioni culturali, letteratura e filologia abbiano condiviso molti spazi in comune: ché, di fatto, i nomi che a vario titolo possono comparire in una ‘storia della filologia’ sono in grandissima parte, se non nella loro totalità, gli stessi che si ritrovano nella ‘storia della letteratura mediolatina’. In particolare, importanti per la filologia sono da considerarsi Benedetto da Norcia, Cassiodoro, Isidoro di Siviglia (e tutti gli scrittori enciclopedici), Colombano, Aldelmo, Beda, Alcuino, Bonifacio, Pietro da Pisa, Paolo Diacono, Teodulfo d’Orléans, Lupo di Ferrière, Heiric di Auxerre, Raterio, Gerberto di Reims, l’abate Desiderio, Guglielmo di Malmesbury, Giovanni di Salisbury, Nicola Trevet. Benedetto (480-550), Cassiodoro (480ca.-575), Colombano (543ca.-615), Bonifacio (675-754) e l’abate di Montecassino Desiderio (1058-1087) legarono il proprio nome alle istituzioni monastiche da loro fondate o dirette, che furono vere e proprie fabbriche di manoscritti. Isidoro (570-636) fu notoriamente uno dei più autorevoli vettori nella trasmissione e spiegazione del sapere antico, e le sue Origines sive Etymologiae (Origini o Etimologie), rappresentarono il modello enciclopedico per i secoli seguenti, finendo col diventare una sorta di prototipo (v. i dodici saggi su Enciclopedismo, filologia, poesia: l’eredità del Medioevo). Aldelmo (639ca.-709), Beda (673-735) e Alcuino (735-804) ci testimoniano di quanto vaste fossero le letture degli studiosi inglesi nei secoli VII e VIII; di come fossero a loro ben conosciuti autori quali Virgilio, Lucano, Persio, Giovenale, Plinio il Vecchio, Cicerone, Ovidio, i grammatici latini, ecc.; di quanto ricco fosse il contenuto della grande biblioteca di York. E fu proprio a York, e nello specifico ad Alcuino, che Carlo Magno si rivolse quando decise di creare una classe colta partendo dal nulla: e fu con Alcuino a capo della scuola Palatina che la corte di Carlo Magno divenne il centro di fruttuosi scambi fra poeti e studiosi di tutta l’Europa, come Pietro da Pisa (m.799), Paolo Diacono (720-799), Teodulfo d’Orléans (760-821): uomini, tutti, che si accostarono ai classici con grande curiosità intellettuale. Nel bisogno generalizzato di libri, essi vennero apprestati in misura senza precedenti, in una attività intensa che salvò per noi la maggior parte della letteratura latina. Teodulfo, prima di morire, preparò anche un’edizione della Vulgata – ovvero la traduzione in latino della Bibbia ad opera di S.Girolamo –, in cui adombrava i moderni metodi editoriali, usando sigle ai margini per distinguere le fonti delle sue varianti, come ad esempio a per le lezioni di Alcuino. Ansioso di accrescere la biblioteca del suo monastero, Lupo di Ferrières (805ca.-856) scrisse dappertutto alla ricerca di manoscritti: compresi quelli di opere che già possedeva, al fine di poterli usare per confrontarli coi propri e correggere gli eventuali errori. Heiric di Auxerre (841ca-876) pubblicò raccolte di estratti da Valerio Massimo e Svetonio, fu il primo ad usare gli estratti da Petronio che circolavano all’epoca, e gli va anche attribuita una raccolta di testi rari sopravvissuta in un codice da lui stesso postillato. Raterio (887ca-974) conobbe i testi rari di Plauto e di Catullo, da lui trovati probabilmente in Francia; e un monumento alla sua devozione per i classici è da considerarsi il più importante esemplare della prima decade di Livio, che fu copiato a Verona seguendo le sue istruzioni. Attivo raccoglitore di libri fu Gerberto di Reims (950-1003), che, in qualità di tutore di Ottone III, si trovò al centro del risveglio intellettuale di questa corte: fu successivamente abate a Bobbio, arcivescovo di Reims e di Ravenna e infine papa col nome di Silvestro II. Guglielmo (m. 1143), il più grande storiografo dell’epoca, come bibliotecario di Malmesbury, aveva a disposizione una biblioteca eccellente, che egli stesso provvide ad accrescere; gli si devono inoltre raccolte di testi affini, quali ad esempio la silloge storica con Vegezio, Frontino ed Eutropio; e gli si deve anche lo sforzo di mettere insieme tutte le opere di Cicerone, compres un tentativo di edizione dei frammenti dell’Hortensius e del De Re publica ricvavati dalle opere di S. Agostino. Le letture preferite di Giovanni di Salisbury (1110-1180) furono Cicerone, Seneca e Valerio Massimo, ma si occupoò anche di autori e opere non comuni, quali gli Stratagemata di Frontino e l’Historia Augusta; straordinaria fu inoltre la sua conoscenza di tutto il testo supersite di Petronio. Nicola Trevet (ca. 1265-1335), domenicano, legato ad Oxford, ebbe una così grande fama per la sua erudizione e la sua abilità di esegeta dei testi antichi che, dall’Italia, gli furono commissionati i commenti alle Tragedie di Seneca e a Livio.