In misura ancor maggiore che nel medioevo, nei secoli dell’età umanistica, a partire dal XIV secolo, sono riscontrabili gli stretti legami fra ‘filologia’ e ‘letteratura’. La storia della filologia annovera infatti fra i suoi studiosi più illustri personaggi come Lovato Lovati, Albertino Mussato, Francesco Petrarca, Giovanni Boccaccio, Coluccio Salutati, Poggio Bracciolini, Guarino Veronese, Lorenzo Valla, Ermolao Barbaro, Poliziano, Erasmo da Rotterdam, Pier Vettori. Notizie biografiche su quasi tutti questi autori si possono trovare in una qualunque storia della letteratura: poche sono però solitamente le informazioni che le varie storie della letteratura ci danno in relazione alla loro attività filologica. Un esempio può essere illuminante . Nel secondo volume della Storia della letteratura italiana della Garzanti, a riguardo di Lovato Lovati e del centro culturale di Padova, si legge: «Lovato de’ Lovati si pone agli inizi di tutto il movimento, onde nella sua opera gli elementi nuovi sono appena preannunciati e non prevalgono su un tipo di cultura strettamente medievale. Nato nel 1241, fu membro del collegio dei giudici, poi podestà a Vicenza, e venne a morte nel 1309: cronologia quasi tutta nel Duecento, come d’altronde si osserva dal suo commento metrico alle Tragedie di Seneca, dalle lettere, da frammenti di un poema su Tristano e Isotta (d’un altro poema, De peste Guelfi et Gibolengi nominis, nulla c’è rimasto). Nei suoi versi si trova qualche presentimento, molto significativo, del vivere secondo il modello dei classici; mentre lo studio di Seneca prepara le forme alla tragedia del Mussato e sollecita questi ad approfondire la conoscenza della metrica senechiana» (Il Trecento, Milano 1965, p. 566). Nel già citato lavoro di Reynolds e Wilson, Copisti e filologi, al Lovati sono dedicate quasi due pagine. Di lui si ricorda innanzi tutto che «aveva un intenso interesse per la poesia classica, un notevole fiuto per testi sepolti sconosciuti da secoli e l’abilità di comunicare il suo entusiasmo a un circolo di amici». E ancora: «Delle sue opere ci restano alcune raccolte di poesie, in particolare le Epistole metriche, dalle quali si vede che Lovato fu al più un mediocre poeta, nonostante una certa freschezza nel tentativo di cogliere lo spirito dei suoi modelli classici; ciò che invece fa impressione in queste composizioni è la conoscenza della poesia romana che rivelano […]. Con una generazione di anticipo sui suoi contemporanei Lovato mostra di avere conosciuto Lucrezio, Catullo, le Odi di Orazio, l’intero Tibullo, Properzio, Marziale, le Silvae di Stazio, Valerio Flacco e opere poco note come l’Ibis di Ovidio. La cronologia dell’umanesimo è tutta da rivedere a fondo: il Petrarca non fu il primo umanista a conoscere Properzio, né il Salutati il primo a possedere un Tibullo completo; Lovato conobbe Lucrezio e Valerio Flacco un secolo e mezzo prima che fossero scoperti da Poggio e usò Catullo almeno cinquant’anni prima della tradizionale data della sua resurrezione a Verona […]. Una straordinaria indicazione sulla sorgente di alcuni dei testi di Lovato è stata trovata in un manoscritto del British Museum […] contenente fra l’altro l’Epitome di Giustino e le poesie di Lovato, autografo, circa del 1290. Alla fine di Giustino egli copiò la sottoscrizione trovata nell’exemplar, la quale rivela che il codice che aveva davanti era stato scritto nel monastero di Pomposa, nel delta del Po, appena prima del 1100. Fra i testi classici che si sanno presenti in quel cenobio nell’XI secolo c’era una grande rarità: le Tragedie di Seneca; la scoperta collaterale che Lovato usò il famoso codice Etrusco delle Tragedie (Laur.37,13) dell’XI secolo dà una provenienza al mal denominato Etrusco e insieme conferma che il giudice padovano riuscì ad attingere alle risorse di una delle più grandi biblioteche medioevali dell’Italia settentrionale; un’altra fonte, come si può facilmente supporre, fu la biblioteca capitolare di Verona. Tuttavia non si è ancora trovata risposta per tutte le questioni nate dalla ricchezza dei ritrovamenti di Lovato […]. Lovato ci ha pure lasciato brevi appunti sulla metrica e sulla prosodia delle tragedie di Seneca, notevoli perché derivati non dai manuali medioevali, ma da uno studio intelligente dell’uso proprio del poeta […]. Egli si cimentò anche in archeologia e identificò una tomba che alcuni sterratori avevano portato alla luce come quella del leggendario fondatore di Padova, il troiano Antenore: bellissimo errore. Da tutto questo è chiaro che era cominciato qualcosa di nuovo» (pp.130-131). Sull’attività in campo filologico degli altri umanisti diamo alcune sintetiche informazioni: - Albertino Mussato Successore spirituale di Lovato, suo amico e concittadino, di professione notaio, spinse più a fondo le ricerche sulle tragedie di Seneca; scrisse delle Historiae modellate su Livio, Sallustio e Cesare. Nel 1315, per aprire gli occhi ai padovani sul pericolo di cadere negli artigli di Cangrande della Scala, signore di Verona, scrisse una tragedia ad imitazione di Seneca: l’Ecerinide, che narra l’ascesa e la caduta dell’antico tiranno di Padova Ezzelino III. Prima opera del genere scritta in metro classico dopo l’antichità ebbe uno straordinario successo politico e letterario: i padovani conferirono al Mussato la corona laurea, ridando vita al costume romano. - Francesco Petrarca Ebbe l’intuizione e l’abilità di unire i due fili esistenti dell’umanesimo: quello letterario e quello filologico. Per lui – e per la continuità della tradizione classica in Occidente – fu una fortuna che la curia papale trasferisse la sua sede da Roma ad Avignone (1309-1377), punto di contatto culturale fra nord e sud: il convergere verso la corte pontificia di persone diverse per nazionalità e formazione intellettuale ebbe conseguenze importantissime. Le biblioteche monastiche e capitolari della Francia erano a portata di mano, e ad Avignone Petrarca trovò la generazione precedente alla sua con un attivo interesse per testi poco letti da secoli, ricevendone grandi stimoli. Al British si conserva un manoscritto di Livio su cui egli, poco più che ventenne, lavorò, riuscendo a riunire tre decadi (le diverse decadi avevano seguito destini separati per tutto il medioevo) sotto un’unica copertina (la terza, la prima e la quarta: la prima e la quarta copiate da lui) e correggendo e postillando l’intero testo. Le varianti ai libri 26-30 sono di particolare valore perché derivano da un codice perduto. E questo non è che uno dei tanti esempi della sua attività di raccoglitore di libri e di filologo: un’attività che lo portò in breve a procurarsi una biblioteca classica senza precedenti. Dei suoi libri, egli corresse e postillò tutti quelli che riteneva importanti. - Giovanni Boccaccio Conobbe il Petrarca nel 1350, e fu in gran parte la sua ammirazione per lui che lo fece rivolgere dal volgare al latino, dalla letteratura alla filologia. Come studioso rimase molto al di sotto del suo modello (gli mancava persino la pazienza di copiare bene un manoscritto): fu soprattutto un raccoglitore di fatti di vita e di letteratura antica, e i suoi trattati enciclopedici godettero di grande popolarità nel rinascimento, contribuendo a promuovere la comprensione della letteratura classica. Nutriva una grande passione per la poesia. Il più antico codice dei Priapea in nostro possesso – sotto questo titolo ci è stata tramandata una raccolta anonima di ottanta epigrammi dedicati a Priapo, dio della sessualità maschile e della fecondità, scritti nell’età dei Flavi – è di sua mano. Possedeva molti codici, alcuni dei quali provenienti da Montecassino. - Coluccio Salutati Scarso talento letterario, anche la sua filologia non fu di altissima classe, ma molto importante per l’evoluzione dell’umanesimo. Fortemente influenzato dal Petrarca e dal Boccaccio (da lui conosciuto personalmente), fu un attivo collazionatore di manoscritti, si mostrò acuto nell’individuare i modi in cui i testi possono essere corrotti, offrì contributi alla critica testuale. Ebbe una ricca biblioteca e copiò diversi testi di sua mano. - Poggio Bracciolini Grande scopritore di testi, personalità versatile: come segretario papale trovò il tempo di indulgere a una varietà di interessi letterari che andavano dalla storia ai saggi morali alla polemica e alla ‘pornografia’. Convocato il concilio di Costanza (1414-1417), quando l’intera corte papale si trasferì in tale città, dedicò il suo tempo libero alla ricerca di testi classici, facendo scoperte importantissime nei monasteri di Cluny, san Gallo e altri, nonché nella cattedrale di Colonia. Fu, come s’è detto, l’inventore della scrittura umanistica. - Guarino Veronese Durante il Quattrocento, per un italiano, esistevano buone possibilità di imparare il greco: molti bizantini vennero a vivere in Italia e, dopo la disfatta del loro paese nel 1453, ci fu un fiume di profughi, che solitamente si procuravano da vivere insegnando il greco o lavorando come amanuensi. È difficile immaginare quanti italiani di fatto impararono il greco in maniera tale da essere in grado di leggere un testo con facilità: ciò che è certo è che solo un ristretto numero di studiosi ebbe l’energia o i mezzi per cercare istruzione nella stessa Bisanzio: Guarino fu tra questi. Importante per gli studi greci, fu autore di testi scolastici che vanno dall’ortografia alla grammatica greca, e traduttore fecondo. - Lorenzo Valla Assieme al Poliziano, il migliore rappresentante della filologia del XV secolo. A lui si deve il vaglio accurato dei metodi critici che si andavano via viva elaborando. La sua opera più famosa sono le Elegantiae, che trattano argomenti di stile, locuzioni e grammatica latina: stampate per la prima volta nel 1471, entro il 1536 erano apparse in circa sessanta edizioni, riconosciute come autorità universale in fatto di lingua latina. Grande esempio di filologia critica, le Elegantiae (Eleganze) furono seguite, nel 1446-47, dalle Emendationes sex librorum Titi Livii / Emendazioni a sei libri di Tito Livio, a loro volta un vero e proprio capolavoro filologico. Ricordiamo anche la Collatio Novi Testamenti (In Novum Testamentum ex diversorum utriusque linguae codicum collatione adnotationes / Annotazioni sul Nuovo Testamento dalla collazione di diversi codici in entrambe le lingue), in cui egli osò emendare la stessa Vulgata: le sue postille e correzioni, basate su uno studio dell’originale greco e dei più antichi testi patristici, furono apprezzate da Erasmo, che le fece stampare nel 1505. Trovò anche il tempo di essere un prolifico traduttore dal greco. - Ermolao Barbaro Importanti le sue Castigationes Plinianae, del 1490. - Poliziano La grande opera di filologia del Poliziano sono i Miscellanea, cento capitoli di varia lunghezza su differenti argomenti filologici. In un capitolo importante per lo sviluppo della critica testuale, rileva che il codice ciceroniano delle Epistulae ad familiares, eseguito per Coluccio nel 1392, è una copia di quello di Vercelli, e dimostra che lo stesso è padre di una intera famiglia di manoscritti. È di fatto il riconoscimento e l’applicazione del principio della eliminatio codicum descriptorum, che non ricomparirà più fino al XIX secolo. Di lui si sa che esaminò e collazionò un numero sterminato di manoscritti: alcuni codici da lui usati sono andati perduti, e le sue accurate collazioni, di solito riportate (da lui o per lui) sulla sua copia di una antica edizione a stampa, costituiscono importanti testimonianze. - Erasmo da Rotterdam Studioso di respiro internazionale, i suoi contatti con l’umanesimo italiano e la sua conoscenza del greco ebbero un’importanza determinante negli studi da lui compiuti sulla Bibbia e sulla letteratura patristica. Il suo esame critico del testo dei Vangeli, culminato nell’edizione del testo greco del Nuovo Testamento, apparsa per la prima volta nel 1516, fu chiaramente influenzato dall’opera compiuta in questo campo dal Valla (come s’è detto, fu proprio Erasmo a curare la prima edizione delle Adnotationes); e nel campo della critica testuale egli seguì i criteri indicati dal Poliziano e dai suoi allievi per l’edizione dei testi classici. È con lui che ha inizio lo studio critico dei Padri della chiesa; fu lui che giunse a dimostrare la scarsa attendibilità della Vulgata. A suo parere, non appena fossero stati resi disponibili i testi corretti dei Padri, e soprattutto il Nuovo Testamento, ogni controversia religiosa avrebbe avuto termine: liberati quei testi da ogni ambiguità e interpolazione, non sarebbe stato più possibile infatti fraintenderne il reale significato. - Pier Vettori Ricostituì, integrò e commentò testi greci e latini, mostrando una competenza filologica di altissimo livello: particolarmente significativa la sua edizione della Retorica di Aristotele del 1549. Ancor più che per il medioevo, possiamo dire, insomma, che nell’umanesimo, se, ovviamente, non tutti i letterati furono filologi, tutti i filologi furono anche letterati.