Parlare dei miti classici è un buon modo per evidenziare come, attraverso i testi della letteratura latina, sia possibile entrare in una cultura e in una civiltà che sono alla base della nostra attuale cultura e civiltà; e per mostrare, nel contempo, come la lingua latina sia di fatto una componente della nostra lingua italiana.
Partiamo innanzi tutto dalla definizione del ‘mito’.
Non è facile – e forse è addirittura impossibile – definire il ‘mito’ in maniera univoca, ed è problematico svelarne l’essenza: perché, se la parola greca mythos significa originariamente ‘racconto’ o ‘discorso’, senza alcuna connotazione, questo semplice significato è andato soggetto nei millenni a progressivi mutamenti, se non a vere e proprie metamorfosi.
Già nel mondo greco, con un leggero slittamento semantico, la parola fu ben presto usata per indicare un racconto o un discorso attendibile ed autorevole ; scivolò poi verso il significato negativo di discorso seduttivo e ingannatorio, di racconto incredibile e favoloso; con Platone e Aristotele, infine, al mythos venne contrapposto il logos, ovvero il discorso razionale, e, in linea di massima, il mythos si spostò sul terreno del ‘mitico’ così come lo intendiamo noi oggi.
A partire poi dal ‘700, il mito fu considerato via via come la manifestazione di una cultura pre-filosofica, come una vera e propria forma di pensiero, o meglio come manifestazione di una ragione primitiva, e il termine venne così usato anche per indicare i racconti provenienti da culture lontane, considerate appunto primitive.
Se a questo aggiungiamo i legami del mito con la religione, la filosofia, la scienza, la storia, l’antropologia, la linguistica, la psicologia, l’estetica, la letteratura e le arti in genere, è facile comprendere quanto varie e complesse possano essere le modalità di interpretazione e quanto numerosi siano gli interrogativi.
Il nostro discorso si limiterà ai racconti mitologici del mondo greco, penetrati poi nel mondo romano già a partire dall’VIII/VII secolo a. C., arrivati fino ai nostri giorni nei modi più vari, e presenti addirittura nel nostro parlare corrente.
Per quanto concerne la lingua italiana, basti ricordare espressioni del linguaggio comune come “tallone di Achille”, “credersi un Adone”, “cavalcare come un’amazzone”, “essere un’arpia”, “essere un cerbero”, “essere (o inseguire) una chimera”, “essere una vera Circe”, “trasformarsi in una furia”, “essere fra le braccia di Morfeo”, “invocare la musa”, “fare il Pigmalione”, "letto di Procuste", “essere una sfinge”, “canto (o voce) da sirena”, “fatica di Sisifo”, “supplizio di Tantalo”; o ancora, sostantivi come “centauro” e “nemesi”, o aggettivi come “proteiforme”, che, tutti, fanno riferimento a personaggi mitologici.
All’interno di linguaggi settoriali, ricordiamo che la mitologia occupa un ruolo molto significativo nella nomenclatura astronomica, con le costellazioni Pegaso, Ercole, Nave Argo, Gemelli (Castore e Polluce), Orione, Cassiopea, Andromeda, Perseo, Idra, Centauro, Iadi, nonché i pianeti Mercurio, Venere, Marte, Giove, Saturno, e le stelle Pleiadi; e dai miti traggono il loro nome anche tutta una serie di patologie mediche e soprattutto psicologiche, come il "complesso di Edipo", il "complesso di Elettra", il "complesso di Adone", il "complesso (e la sindrome) di Medea", la "sindrome di Cassandra", la "sindrome di Procuste", il narcisismo (termine che può essere utilizzato per indicare un particolare tratto della personalità, o un concetto della teoria psicoanalitica, o un disturbo mentale, o un problema socio-culturale, e che prende nome da Narciso), il priapismo (o erezione involontaria e persistente in modo anomalo, che prende nome da Priapo), ecc.
Troviamo la mitologia nei cartoni animati, nei fumetti, nei videogiochi, nei film: forme di creatività e di espressione estetica che, in qualche modo, appartengono alla nostra quotidianità.
Non è mai tramontata la fortuna dei miti nella letteratura e nella poesia. Il teatro ha sempre messo in scena tragedie mitologiche, sia come allestimenti di tragedie antiche, sia come riscritture o rivisitazioni moderne delle medesime; grande successo hanno sempre avuto i melodrammi mitologici, né mancano balletti dedicati al mito. All’interno delle arti figurative, infine, le storie e i personaggi del mito risultano onnipresenti.
In un continuum ininterrotto, gli antichi miti greci hanno un posto di rilievo già nella letteratura e nell'arte romana, attraversano il Medioevo, e trovano poi un’ulteriore grande diffusione col Rinascimento, giungendo fino ai nostri giorni.
Se si considera però che, già all’epoca di S. Agostino (IV/V secolo), era rara la padronanza della lingua greca; che, nei secoli seguenti, la conoscenza della medesima si ridusse progressivamente – salvo rare eccezioni – a pochi rudimenti; e che solo a partire dal XV secolo si verificarono condizioni tali per cui, ad un pur ridotto numero di studiosi italiani, fu possibile impararla, appare evidente come, nella diffusione e nella trasmissione del materiale mitologico, un ruolo particolarmente significativo dovette essere svolto dalla mediazione del mondo letterario latino, che ne trasmise i contenuti al mondo medievale.
All’interno di questo ruolo di mediazione, gli autori latini più importanti sono sicuramente Virgilio, Seneca e soprattutto Ovidio.
Ad Ovidio, dobbiamo in particolare le Metamorfosi, poema in quindici libri che raccoglie un materiale narrativo immenso, dalle origini del mondo al tempo del mito, fino al tempo della storia e ad Augusto: una cronologia flessibile e vaga, all’interno della quale sono narrate oltre duecentocinquanta storie, reciprocamente intrecciate. Ed è proprio alle Metamorfosi di Ovidio che si deve la maggior parte della fortuna dei racconti mitici nei secoli, non solo in ambito letterario, ma anche in ambito figurativo.
Arrivati fino a noi, i miti sono presenti – come s’è detto – nella nostra lingua, nella scienza, nella letteratura, nell’arte, nella musica, nel teatro: e sempre se ne presuppone la conoscenza, quando invece, spesso, non è così.
Tornando, ad esempio, alla presenza di riferimenti mitologici all'interno della nostra lingua, può essere spontaneo collegare ad antiche divinità i nomi dei pianeti Mercurio, Venere, Marte, Giove e Saturno, così come più o meno tutti conoscono la figura di Ercole: ciò non significa necessariamente conoscere le caratteristiche e le prerogative delle singole divinità, o la genealogia e le dodici fatiche dell’eroe semidio, ma le lacune, nella maggior parte dei casi, non pregiudicano la comprensione dei messaggi e la comunicazione.
Allo stesso modo, può risultare ininfluente ai fini della comunicazione sapere che
- Andromeda era stata condannata da un oracolo ad essere esposta su uno scoglio e offerta in pasto al mostro marino inviato da Poseidone per punire la madre Cassiopea della sua vanità;
- Cassiopea era la ninfa, regina di Etiopia, arrogante e vanitosa, che, dopo la morte, fu collocata in cielo da Poseidone, in una costellazione la cui forma ricorda la sedia come originario strumento di tortura;
- Centauro era originariamente l’ essere deforme che si accoppiò con le giumente del Monte Pelio ed originò una razza di creature ibride, metà uomini e metà cavalli;
- i Gemelli Castore e Polluce erano considerati figli di Zeus e di Leda, regina di Sparta (o, secondo un’altra versione, figli di un mortale e di Leda), erano i protettori dei naviganti, e, dopo la morte, furono collocati in cielo da Zeus;
- le Iadi erano ninfe dei boschi e delle sorgenti;
- l'Idra era il velenosissimo mostro a sei teste ucciso da Ercole nella sua seconda fatica;
- la Nave Argo portò Giasone e gli Argonauti alla conquista del vello d’oro;
- Orione era il gigante cacciatore, collocato da Zeus in cielo dopo la morte;
- Pegaso era il più famoso dei cavalli alati;
- Perseo era il semidio, figlio di Zeus, autore di diverse imprese, fra cui l’uccisione del mostro di Andromeda, divenuta poi sua moglie;
- le Pleiadi erano le sette figlie del titano Atlante.
È anche vero, però, che parole come centauro (= motociclista), nemesi (= castigo, punizione, vendetta), o proteiforme (= capace di assumere facilmente aspetti ed atteggiamenti diversi), di per sé più che comprensibili, si arricchiscono di significato qualora si riannodi il filo che le lega al mito: qualora si sappia, cioè, che i centauri erano creature metà uomini e metà cavalli; Nemesi era la dea che provvedeva in particolare a fare giustizia nei delitti irrisolti o impuniti, distribuendo gioia o dolore, e perseguitando soprattutto i malvagi e gli ingrati; Proteo (da cui proteiforme), era la divinità delle acque, in grado di assumere qualsiasi sembianza.
Ed è altrettanto vero, infine, che in molti casi l'identificazione dei personaggi e la conoscenza delle loro rispettive vicende sono competenze indispensabili per far sì che, in una qualunque comunicazione, il destinatario sia in grado di decodificare e cogliere in tutte le sue sfumature il messaggio che gli viene trasmesso.
- Se, ad esempio, per indicare il punto debole di qualcuno o qualcosa, si parla di "tallone d'Achille", è fondamentale sapere che Achille, il leggendario eroe della guerra di Troia, da bambino fu immerso dalla madre – la ninfa marina Teti – nel fiume Stige affinché diventasse immortale; che, per immergerlo, la madre lo tenne per il tallone che rimase così l’unica parte vulnerabile; e infine che Achille fu poi ucciso da Paride con una freccia avvelenata scagliata appunto contro il tallone destro.
- Se si dice che qualcuno "si crede un Adone", o che è talmente ossessionato dalla propria forma fisica da soffrire del "complesso di Adone", è importante conoscere a grandi linee la vicenda di Adone, che, nato dal rapporto incestuoso fra il re di Cipro, Cinira, e sua figlia Mirra, fu un fanciullo di folgorante bellezza, di cui si innamorarono le dee Afrodite e Persefone, e che - secondo una versione del mito - fu ucciso per gelosia dal dio Ares, innamorato di Afrodite.
- Se, riguardo ad una persona con visione catastrofica della vita, che sistematicamente profetizza sventure nella convinzione che sia impossibile evitarle, si parla di "sindrome (o complesso) di Cassandra", per comprendere appieno il quadro generale, non è irrilevante sapere chi fosse Cassandra: ovvero, la sacerdotessa di Apollo, che ebbe dal dio il dono della preveggenza in cambio del suo amore, ma che, avendo poi rifiutato di concedersi al dio stesso, fu da lui condannata a non essere mai creduta e a rimanere dunque inascoltata.
- Allo stesso modo, è fondamentale cogliere il riferimento alle vicende mitologiche se si parla del "complesso di Edipo", ovvero - banalmente - del 'desiderio' di un figlio nei confronti della propria madre. Ricordiamo che Edipo era figlio di Laio, re di Tebe e di Giocasta. A causa di un infausto vaticinio, fu abbandonato alle bestie appena nato, ma fu trovato da un pastore e condotto a Corinto, dove fu allevato dal re e dalla regina, considerati da lui come suoi genitori; recatosi a consultare l’oracolo di Delfi, avendo saputo – come già Laio prima che nascesse – che nel suo destino c’erano l’uccisione del padre e il matrimonio con la madre, decise di non tornare a Corinto e si diresse verso Tebe; durante il viaggio, uccise Laio, senza sapere che fosse suo padre, e, avendo poi liberato la città dalla mostruosa Sfinge, ebbe come ricompensa il regno e la mano della regina Giocasta, senza sapere che fosse sua madre. Conosciuta la verità, si accecò da solo ed andò errando per tutta la Grecia fino alla morte.
- Di segno opposto è il "complesso di Elettra", che indica il 'desiderio' di una figlia nei confronti del proprio padre: e anche in questo caso è il mito che aiuta a definire il quadro generale. Elettra era infatti la figlia di Agamennone, re dell’Argolide; dopo la morte di Agamennone, ucciso dalla madre Clitennestra con l’aiuto del suo amante Egisto, Elettra istigò il fratello Oreste a vendicare il padre con l’uccisione della madre e del suo amante.
- Il "complesso di Medea" e la "sindrome di Medea" sono riferibili ad una madre che, in situazione di stress emotivo e conflittuale col proprio compagno, assuma comportamenti finalizzati alla distruzione del rapporto fra padre e figli, o che, in situazioni estreme, per un insieme di pulsioni inconsce, arrivi addirittura ad uccidere i figli avuti da lui: questa madre non è altro, dunque, che una moderna Medea, la madre assassina della mitologia, che uccise i propri figli per vendicarsi del tradimento del marito Giasone.
- La "sindrome di Procuste", detta anche malattia degli invidiosi, prende il nome appunto da Procuste, un gigante che, probabilmente non sopportandone l'aspetto, aggrediva i viandanti e li torturava in modo orribile. Possedeva due letti, uno molto corto e uno molto lungo, e , a seconda della statura della vittima, ‘stirava’ quelli di bassa statura sul letto lungo, e, a quelli di alta statura, amputava le membra che uscivano dal letto corto: da qui, anche l'espressione "letto di Procuste", in riferimento ad una situazione difficile a cui si è costretti da altri ad adattarsi.
- Quanto al narcisismo e al priapismo, le due parole prendono nome rispettivamente da Narciso e da Priapo: il primo è il cacciatore che, innamoratosi della propria immagine riflessa nell’acqua, morì cadendo nel lago in cui si specchiava; il secondo è la divinità simbolo dell'istinto sessuale e della forza generativa maschile, e quindi anche della fecondità della natura, rappresentato come un piccolo uomo barbuto con un membro maschile di enormi proporzioni.
- Se si usano espressioni del tipo "cavalcare come un'amazzone", "essere un'arpia", "essere un cerbero", "essere (o inseguire) una chimera", "essere una vera Circe", "trasformarsi in una furia", "essere (o cadere) fra le braccia di Morfeo", "invocare la musa", "canto (o voce ) da sirena", il senso delle espressioni stesse è pienamente recepito solo se si sa che le Amazzoni erano popolo di donne guerriere e cavallerizze, le Arpie dei mostri metà donne e metà uccelli dalle abitudini persecutorie, Cerbero uno dei mostri a guardia degli inferi, la Chimera una creatura fantastica col corpo formato da parti di animali diversi, Circe la maga incontrata da Ulisse che trasformava gli uomini in bestie, le Furie mostruose divinità della vendetta, Morfeo il dio dei sogni, le Muse le nove divinità delle arti, le Sirene le figure marine - in parte uccelli e in parte fanciulle - che incantarono Ulisse col loro canto (solo a partire dal Medioevo, si tramutarono in fanciulle bellissime con la coda di pesce al posto delle gambe).
- In misura ancora più significativa, la conoscenza dei miti di riferimento illumina espressioni come "fare il pigmalione" (ovvero ergersi a guida culturale, per formare e modellare la personalità di qualcuno), "essere una sfinge" (cioè una persona impenetrabile, enigmatica, impassibile), "fatica di Sisifo" (sforzo abnorme ed inutile), "supplizio di Tantalo" (tormento causato da un desiderio che sembra facilmente realizzabile, ma che è invece destinato a rimanere inappagato ): perché Pigmalione era il cittadino – o il re – di Cipro che, innamoratosi perdutamente di una statua femminile da lui stesso scolpita, ottenne dalla dea Afrodite che la trasformasse in una donna vera; la Sfinge era un mostro raffigurato con corpo di leone e testa umana, o di falco, o di capra, misteriosa e benefica custode delle piramidi, ma anche custode di città, come quella famosa che flagellava Tebe, proponendo enigmi ai passanti e divorando chi non riusciva a risolverli; Sisifo, l'emblema dell'uomo ingannatore e astuto, era condannato, nell'oltretomba, a spingere eternamente un masso dalla base alla cima di un monte; per i suoi numerosi peccati, Tantalo era invece costretto a patire in eterno la fame e la sete (schiacciato da una pietra, legato ad un albero carico di ogni qualità di frutti, ed immerso fino al collo in un lago d'acqua dolce, appena provava a dissetarsi il lago si asciugava e appena provava a prendere un frutto dall'albero i rami si allontanavano o un colpo di vento li strappava dalle sue mani).
.