Il mondo pagano lascia in eredità a quello cristiano una vasta e variegata cultura enciclopedica: e questa eredità passa per il tramite di Agostino (354-430), il Padre della Chiesa destinato ad esercitare un’influenza continua e profonda sul pensiero occidentale.
È infatti Agostino a riadattare le Arti alla realtà del cristianesimo, fornendo loro così un nuovo significato e facendo sì che il loro studio sia ridefinito e consolidato.
Alcuni dati biografici.
Dopo gli anni giovanili, Agostino appagò la sua ansia di certezze con la filosofia, soprattutto attraverso la lettura dell’Hortensius di Cicerone (dialogo, che si riferisce all’oratore Quinto Ortensio Ortalo, prima avversario storico e poi amico di Cicerone stesso), una perduta esortazione appunto alla filosofia, sul modello del Protrettico (esortazione) di Aristotele.
Nel 374, approdò al manicheismo, cui aderì per nove anni. Fondato dal principe persiano Mani (216-277), che in seguito ad una rivelazione divina si era convertito ad una rigida disciplina di vita, il manicheismo si fondava sulla concezione secondo cui, nella realtà, il bene e il male operano costantemente come due principi distinti e contrapposti, la Luce e le Tenebre; il mito centrale era quello della liberazione dell’anima-luce dalla materialità e dalla corporeità del mondo fisico creato dalle Tenebre, e la morale manichea era strettamente connessa a questo mito. Scopo dell’uomo era separare in sé l’io divino dall’io demoniaco, ma il grado perfetto di liberazione poteva essere raggiunto da pochi (da qui una rigida gerarchia, imperniata sulla distinzione fra semplici fedeli ed eletti: questi ultimi organizzati in cinque gradi, culminanti nella figura del pontefice-maestro).
La conversione al cristianesimo di Agostino maturò durante il suo soggiorno milanese (384-387), e a Milano ricevette il battesimo nel 387. Abbandonata la professione di retore e tornato in Africa, nel 391 si fece sacerdote.
Le opere filosofiche di Agostino furono scritte in rapida successione cronologica, dal 386 al 391, a partire dal soggiorno a Cassiciacum (Cassago Brianza) dal novembre del 386 al marzo del 387.
Al periodo successivo al battesimo risale l’ambizioso progetto di una enciclopedia delle Arti liberali.
Cominciò dalla grammatica (De grammatica, opera non pervenutaci), continuò con i primi cinque libri del De musica, ed interruppe il progetto, considerato troppo dispersivo rispetto al problema di fondo che lo assorbiva sempre più, ovvero la ricerca di Dio: il sesto e conclusivo libro del De musica fu scritto in Africa, prima dell’ordinazione a sacerdote.
Nel 395 venne eletto vescovo di Ippona e, da quel momento, il suo impegno intellettuale riguardò prevalentemente la discussione di problemi teologici e pastorali, in polemica con i principali movimenti religiosi che contrastavano le posizioni della Chiesa di Roma.
Il De ordine (L’ordine) è una delle quattro opere scritte a Cassiciaco, poco dopo la conversione: definibile come una ‘enciclopedia in miniatura’, concretizza un progetto educativo in grado di guidare l’uomo dal materiale all’immateriale (per corporalia ad incorporalia), e presenta un disegno che culmina con la filosofia.
Il De doctrina cristiana (La dottrina cristiana), iniziato circa trent’anni prima, fu ripreso e portato a termine a pochi anni dalla morte: copre dunque, all’incirca, gli anni fra il 396 e il 427, cosicché possiamo dire che abbraccia l’intero arco della missione vescovile di Agostino, ed è forte in esso la motivazione teologico-pastorale. Nel proemio, Agostino esplicita l’intenzione di elaborare un metodo interpretativo delle Scritture; i primi tre libri sono dedicati all’individuazione delle verità da comprendere; il quarto libro si occupa della esposizione delle verità comprese.
Il De ordine e il De doctrina sono chiaramente due opere ben diverse fra loro nell’impostazione e nelle motivazioni, ma rientrano entrambe nel medesimo progetto culturale.
Negli scritti a carattere enciclopedico, sono insiti la dialettica e l’equilibrio fra due aspetti: da un lato, un principio statico, che si concretizza nella necessità di fornire nel modo più completo lo scibile del momento storico – una sorta di definizione dello status del sapere –; dall’altro, un principio dinamico, che si concretizza nella volontà di dare un significato unitario alla raccolta dei contenuti – un tentativo di attribuire al sapere un significato, una finalità, una forza agente. Le diverse forme di ‘enciclopedia’ possono privilegiare ora l’uno ora l’altro dei due aspetti, e l’attenzione al loro reciproco rapporto permette di comprendere a fondo le caratteristiche delle singole opere e del contesto in cui esse nascono. Palesemente, sia il De ordine che il De doctrina agostiniani rientrano in un progetto culturale concepito come via per arrivare alla contemplazione di Dio, ed entrambi mostrano dunque una prevalenza del principio dinamico.
Ad accomunarli è anche la tensione pedagogica, che si dipana in due direzioni: da un lato, il tentativo di riconsiderare organicamente il complesso problema delle Arti liberali; dall’altro, la riflessione attorno alle possibilità comunicative del linguaggio e alle sue implicazioni sul piano dell’insegnamento. C’è sempre, insomma, nell’enciclopedismo agostiniano, una articolazione fondamentale fra il linguaggio e la realtà, fra il piano dei signa (segni) e quello delle res (cose): di conseguenza, la ricerca sulle Arti comporta necessariamente una indagine preliminare attorno alla genesi, alla natura e ai limiti dello strumento linguistico.
La diversità dei due scritti si manifesta soprattutto nella scelta dei possibili strumenti per raggiungere lo scopo della contemplazione divina. Strumenti necessari per il cammino sono infatti, nel De ordine, l’erudizione e l’esercizio dello spirito, che portano l’uomo a riconoscere la presenza della ragione come trama del mondo e fonte di tutte le arti e discipline; nel De doctrina invece, la pagina sacra della Bibbia è l’unica via della Sapienza, ovvero della salvezza. Poiché la Bibbia esprime i suoi contenuti in maniera velata – col peccato originario l’uomo non può più comprendere la verità intuitivamente; il linguaggio è un indispensabile mezzo di comunicazione, ma è limitato e impreciso; la verità velata va trovata al di là dei segni –, occorre l’adozione del metodo allegorico. La conoscenze per comprendere la pagina sacra devono essere ricavate dallo studio delle arti e delle scienze del mondo antico. Come il popolo di Israele rubò gli ori agli Egizi, allo stesso modo i cristiani, con un “sacro furto”, devono appropriarsi delle verità scoperte dai pagani, ma da loro non usate per la salvezza dell’anima, quali il patrimonio delle Arti liberali, alcune norme morali come il contemptus mundi (disprezzo del mondo), talune istituzioni politiche e sociali, ecc..
In ogni caso, in tutto l’arco della sua vita, le Arti vengono riadattate da Agostino alla realtà cristiana: non più vero cammino verso il sapere, ma comunque mezzo idoneo e proficuo per comprendere gli autori classici, e, in parte, anche per arrivare ad una comprensione migliore della stessa Bibbia, come bene si evince anche dal De catechizandis rudibus (Prima catechesi cristiana) con la sua riflessione sulla metodologia dell'insegnamento e sui dinamismi dell'apprendimento.
Il De catechizandis rudibus è una lettera scritta intorno al 405 a Deogratias, diacono della Chiesa di Cartagine, incaricato di istruire i rudes, cioè i pagani adulti. Mi limito a ricordarne un passo. Al paragrafo VIII,12, parlando di persone (rudes), già istruite nelle Arti liberali Agostino scrive: «Le persone di questo genere sono solite sottoporre ogni cosa ad un esame rigoroso non nel momento in cui diventano cristiani, ma prima, e sono solite comunicare a quanti possono i moti del loro animo e parlarne per scrutarlo a fondo».
Per Agostino, le Arti liberali non solo preparano dunque l’ingegno, ma possono risvegliare la coscienza e disporre l’animo a qualcosa di grande. Non sono di per sé “buoni studi”, ma possono facilitare il percorso verso una vera conoscenza.