Anicio Manlio Severino Boezio (480-524)
Nato a Roma dalla nobile famiglia degli Anici, cristiani fin dal tempo di Costantino, che si erano messi al servizio degli Ostrogoti, Boezio entrò al servizio di Teodorico, delegato dall’imperatore d’Oriente Zenone a reggere l’Italia, ed ebbe una brillante carriera, finché non fu accusato di avere cospirato contro l’imperatore, con l’incriminazione aggiuntiva per pratiche magiche. Fu imprigionato, probabilmente a Pavia, e giustiziato nel 524. Il suo protettore, Aurelio Memmio Simmaco, che l’aveva accolto in casa dopo la prematura morte del padre, e di cui Boezio aveva sposato la figlia Rusticiana, lo seguì poco dopo. I motivi della condanna a morte di Boezio e Simmaco furono politici: tuttavia, più tardi, l’esecuzione di Boezio fu interpretata come un episodio della persecuzione dei cattolici da parte di Teodorico, seguace dell’Arianesimo, e il filosofo fu considerato e spesso venerato come martire. Il suo culto fu approvato, per la diocesi di Pavia, da un decreto del 1883.
Sotto la dominazione degli Ostrogoti, i contatti dell’Italia con l’impero d’Oriente si intensificarono, determinando forti inclinazioni ellenistiche in ambito culturale: in questo ellenismo, Simmaco e Boezio svolsero senza dubbio un ruolo molto importante, se addirittura non ne furono gli iniziatori. Ancora giovanissimo, Boezio concepì il disegno di far conoscere ai latini le ricchezze delle lettere greche: dal ciclo delle scienze che portano alla filosofia, ovvero il quadrivio, fino alla filosofia stessa (logica, morale, fisica). Purtroppo, del suo ambizioso programma di tradurre in latino e commentare tutte le opere di Platone e di Aristotele, non poté che realizzare una piccolissima parte.
Dei suoi trattati concernenti il quadrivio, ci sono giunti solo quello sull’aritmetica e quello sulla musica.
Delle sue traduzioni, abbiamo l’Isagoge di Porfirio – una breve introduzione di Porfirio (233/34 – 305) alle Categorie di Aristotele –, accompagnata da un ampio commento; le Categorie di Aristotele, con un commento in quattro libri; il trattato aristotelico Dell’interpretazione, con due commenti, uno elementare in due libri, e uno in sei.
La sua opera più famosa è il De consolatione philosophiae, da lui scritta in carcere nel 524, poco prima di essere messo a morte.
Boezio era un romano, affascinato dalla filosofia greca: constatando con rammarico la decadenza della conoscenza del greco nel mondo latino, si sforzò, attraverso traduzioni e commenti, di conservare l’eredità del pensiero greco, soprattutto quello filosofico. È sicuramente uno dei fondatori del pensiero medievale, accanto a Cassiodoro, e prima di Gregorio Magno, S. Benedetto e Isidoro di Siviglia. Ebbe una grande fortuna per tutto il Medioevo, esercitando un forte influsso, a partire dalla rinascenza carolingia, su tutto il pensiero medievale; né la sua risonanza si interruppe nell’età moderna.
La sua funzione e il suo ruolo, nella storia della cultura occidentale, sono determinati in gran parte dalla situazione politica e culturale del suo tempo: egli visse infatti in un periodo di transizione da un mondo ad un altro, e, pur non essendo particolarmente dotato di originalità, finì con l’acquistare una posizione di primo piano grazie alla sua capacità di sintesi, riuscendo di fatto a trasmettere gli elementi migliori di una cultura in via di estinzione ad un mondo nuovo che si andava formando.
Per quanto riguarda il pensiero enciclopedico, va ricordato innanzi tutto il contributo da lui dato alla teorizzazione del discorso sulle Arti, con i suoi trattati relativi alle Arti del quadrivio, sull'esempio di quanto aveva fatto Marziano Capella, ma con grande attenzione alle fonti greche originali: sembra anzi doversi a lui la coniazione stessa del termine quadrivium, la cui fortuna a favorì, per analogia, quella del termine trivium per indicare la grammatica, la retorica e la dialettica. Ma il contributo forse più importante di Boezio alla cultura medievale delle enciclopedie è la sua opera logica, di prevalente ispirazione aristotelica: essa crea infatti un lessico rigoroso ed univoco, codifica le questioni più scottanti come il problema degli universali, mette a fuoco tecniche argomentative. Ed è un’opera in cui il mondo greco è certamente più presente di quello latino, tanto che nasce dal progetto ambizioso – purtroppo mai compiuto – di tradurre i testi di Aristotele e Platone al fine di immetterli nella cultura tutta latina dell’epoca.
Flavio Magno Aurelio Cassiodoro Senatore) (ante 490 - post 580)
Come si è già avuto occasione di affermare, a seconda degli interessi del lettore, ogni testo può piegarsi a letture diversificate.
Rispetto alle Institutiones (Istituzioni) di Cassiodoro, a livello formale, ci potrebbe essere ad esempio un approccio prevalentemente filologico, o strettamente linguistico, o persino di tipo estetico. Sul piano contenutistico, la lettura dello storico medievale sarà diversa da quella del linguista, o dello studioso di letteratura latina medievale, o del latinista classico, o dello storico della filosofia, o del teologo, o dell’antropologo, o del cultore calabrese – magari un po’ campanilista – di Cassiodoro: ognuno, quanto meno, evidenzierà cose diverse, su cui, consciamente o inconsciamente, sarà portato a fermare la propria attenzione.
Allo stesso modo, se ci si occupa di un tema specifico, come l’enciclopedismo, ognuno cercherà e leggerà in uno stesso testo cose diverse, a seconda della propria formazione culturale: così, le Institutiones possono essere esaminate dal punto di vista della struttura e dell’organizzazione del materiale, possono essere studiate per le fonti classiche o per quelle filosofiche, possono rientrare nella sfera di interesse del latinista o dello storico o del filosofo o del letterato; e possono essere utilizzate per indagare il Cassiodoro politico, i luoghi cassiodorei; per cercare al loro interno l’ispirazione agostiniana, o le suggestioni classiche, o le discipline matematiche o l’ordine della natura, o l’antropologia; per ricostruire l’ambiente socio-culturale dell’epoca di appartenenza, ecc.. Ovviamente, poi, la lettura di un testo e lo studio di un tema cambiano anche a seconda delle epoche. Ognuno di noi ha infatti un bagaglio culturale che non è solo personale, ma anche collettivo, proprio dell’epoca storica in cui vive: e questo bagaglio ci condiziona.
Riguardo all’enciclopedia, nello specifico, la nostra cultura – al di là delle singole competenze – è necessariamente condizionata dal concetto moderno del termine, dall’oggetto “enciclopedia” evocato dal termine stesso.
Dunque, nel rapporto del lettore con uno scrittore, con un testo, con un tema, entrano in gioco fattori molteplici, non sempre di immediata individuazione.
Una cosa credo però possa valere per tutti i tipi di approccio: il fatto cioè che sia quanto meno più proficuo parlare della produzione di un autore (qualunque tipo di produzione, qualunque autore) avendo ben presenti le caratteristiche individuali e le scelte di vita dell’autore stesso, nonché il contesto sociale, culturale, politico in cui egli opera.
Qualunque produzione (letteraria e non) nasce infatti in continuità con la vita dell’autore: affonda le proprie radici nel ritmo di una esperienza che è individuale e collettiva, e fa parte del processo storico totale della società.
Parlando di una produzione letteraria, dobbiamo poi tener presente un altro elemento, ovvero il genere letterario con cui l’autore si confronta, al quale, conservando o innovando, si riferisce: necessariamente diverso, perché soggetto alle regole del genere, sarà ad esempio il modo di trattare delle Arti liberali nelle opere storiche, o in quelle retoriche, o nella poesia, o in ambito filosofico.
E, se poi parliamo di un’ opera comunque riconducibile in un alveo filosofico o religioso, occorre anche avere chiara quella che è appunto la problematica filosofico-religiosa dell’epoca cui l’opera stessa appartiene: problematica che è, sì, spiegabile in parte con lo studio dei contesti, ma che è anche il portato di riflessioni filosofiche precedenti.
Mi spiego meglio. Una riflessione filosofica porta l’impronta del contesto storico che la produce (ad esempio, l’economia schiavistica alla base della vita sociale nel mondo antico, in cui le persone giuridicamente libere erano un’esigua minoranza, diede inevitabilmente un’impronta ben determinata alle riflessioni sulla sfera etica e politica), ma il modo in cui ogni epoca elabora le proprie costruzioni filosofiche è condizionato dal materiale concettuale preesistente, e gli strumenti concettuali derivano da questo materiale, pur se utilizzati all’interno di mutate circostanze storiche.
Dunque, parlando delle Institutiones di Cassiodoro dobbiamo avere presenti, almeno a grandi se non grandissime linee, la personalità e l’esperienza biografica di Cassiodoro, l’epoca di appartenenza, il genere dell’opera, gli indirizzi filosofico-teologici all’epoca più diffusi, i loro fini (comuni e non), le loro origini, i loro percorsi.
Cassiodoro nacque da una famiglia patrizia, originaria dell’Oriente (forse della Siria), molto stimata ed importante nel Bruzio (Calabria, zona di Catanzaro); il padre fu governatore della Sicilia sotto Odoacre e prefetto del pretorio sotto Teodorico. Cassiodoro stesso, avviato giovanissimo alla carriera pubblica, sotto Teodorico, dopo aver ricoperto il governatorato della Lucania e del Bruzio, fu console ordinario nel 514, e magister officio rum (direttore degli uffici) – carica di altissimo prestigio – nel 523; successivamente, dal 533, divenne prefetto del pretorio: carica, quest’ultima, che mantenne fino al 537 sotto i tre successivi re. Da notare che, come magister officiorum, succedette a Boezio, caduto in disgrazia e giustiziato, come s’è detto, nel 524: e nei confronti di Boezio Cassiodoro ebbe sempre una opportunistica reticenza.
Già dal 535 era cominciata quella che è nota col nome di guerra gotica, ovvero il lungo conflitto che contrappose l'impero bizantino agli Ostrogoti nella contesa di parte dei territori che fino al secolo precedente erano parte dell'Impero romano d'Occidente. La guerra fu il risultato della politica dell'imperatore bizantino Giustiniano I, già messa in atto precedentemente con la riconquista dell'Africa conro i Vandali, mirante a riconquistare all'impero le province italiane e altre regioni limitrofe conquistate da Odoacre prima e dagli Ostrogoti (Goti Orientali) di Teodorico il Grande alcuni decenni prima.
Di fronte all’avanzata bizantina, nel 537 Cassiodoro si ritirò dalla vita pubblica.
Non si sa a quando risalga la fondazione del monastero di Vivario (a Squillace, nella zona di Catanzaro, in Calabria): se dopo il ritiro, attorno al 540, oppure, come sembra più probabile, dopo il 554, alla promulgazione da parte di Giustiniano di quella Pragmatica sanctione in virtù della quale l'Italia rientrava, sebbene non ancora del tutto pacificata, nel dominio romano(la Prammatica Sanzione era una costituzione imperiale, che affrontava temi di particolare interesse generale: era promulgata su richiesta di un altro funzionario ed entrava in vigore appena pubblicata). Quello che è certo – perché è Cassiodoro stesso a raccontarlo – è che già molto tempo prima Cassiodoro avrebbe voluto fondare a Roma, con l’appoggio del papa Agapito (morto nel 536), una scuola superiore di studi cristiani, che non prescindesse però dalla cultura profana, per indirizzare i credenti alla salvezza e conferire decoro alla lingua: con Vivario il sogno poté realizzarsi.
Queste brevi note biografiche sono importanti per comprendere a fondo la produzione di Cassiodoro: da esse emergono infatti con chiarezza due linee di vita, separate fra loro, di cui una dedicata all’attività politica, e l’altra allo studio e alla meditazione. Sono due linee successive nel tempo, il cui spartiacque è rappresentato da una conversione: di essa parla Cassiodoro stesso nella Prefazione al De ortographia (L’ortografia), facendola risalire al 538, senza peraltro chiarire se si tratti di un passaggio alla fede dopo un atteggiamento di indifferenza, o di un ritorno alla fede in seguito ad una rinnovata ansia del divino.
Sta di fatto che le sue opere rispecchiano chiaramente le due fasi di vita.
Nella prima fase sono da collocare i discorsi (che abbiamo frammentari), il Chronicon (una storia universale sulle sei età del mondo, dalla creazione fino al 519), l’Ordo generis Cassiodororum (una storia della sua famiglia, di cui ci resta solo un lungo frammento), l’Historia Gothorum, Vandalorum, Sueborum (Storia di Goti, Vandali e Svevi, di cui abbiamo solo un’epitome ad opera dello storico goto del VI secolo Giordane), le Variae (Epistole varie, che raccolgono gli atti ufficiali compilati da Cassiodoro, in nome dei re goti, fra il 507 e il 537) e il De anima (L’anima, che per prima affronta temi lontani dalla politica, e che si basa prevalentemente su Agostino, ma anche sul maestro di retorica convertitosi al cristianesimo Celio Firmiano Lattanzio (III/IV secolo), sullo scrittore cristiano di origine gallica Claudiano Mamerto, su Boezio, nonché su testi di medicina: fra tutte, le Variae sono, per il nostro discorso, le più interessanti, in quanto manifestano il gusto enciclopedico che si esplicherà poi a pieno nelle Institutiones, testimoniando peraltro, diversamente da queste ultime, una totale assenza di interesse per i problemi teologici.
La seconda fase ha inizio col Commento ai Salmi (538-540), che mostra un continuo confronto fra la cultura cristiana e quella pagana, ovviamente risolto in favore della prima, e che ha quale modello il Commento ai Salmi di Agostino. Di qui in avanti, tutta l’attività di Cassiodoro è ispirata dalla coscienza di essere cristiano, ed indirizzata ad opere utili per la comprensione e la diffusione della cultura biblica.
Se Agostino è l’autore che ha avvertito e teorizzato la combinazione della tradizione profana e di quella cristiana, riconoscendo alle Arti il carattere di cultura preparatoria verso il raggiungimento della vera sapienza (al vertice, la Bibbia), il valore riconosciuto alle Arti stesse da Cassiodoro è ben più grande: esse, in lui, costituiscono infatti il mezzo fondamentale dell’esegesi.
In linea con la posizione espressa nel Commento, ed in perfetta linea con l’antico progetto della scuola da fondare a Roma, nascono le Istituzioni, nella Prefazione delle quali, non a caso, viene proprio menzionato il progetto stesso. Peraltro, trattando nel I libro delle scienze sacre, e nel secondo delle profane (sempre quale strumento utile allo studio biblico), le Istituzioni rappresentano di fatto una sorta di realizzazione dell’antico progetto.
Altre opere di questa seconda fase sono un Commento alla Lettera ai Romani, il Liber memorialis (Memoriale), e il De ortographia, che, composto all’età di novantadue anni, riassume per i monaci di Vivario una dozzina di manuali tardo-antichi.
Cassiodoro vive prevalentemente nel VI secolo, in un clima culturale ancora segnato da forti inclinazioni ellenistiche.
Peraltro, le sue Institutiones si realizzano come abbiamo visto, nel ritiro di Vivario, in una fase della vita dedita alla religione, serena, riservata allo studio e alla meditazione; hanno come orizzonte il progetto agostiniano di un complesso di discipline al servizio della conoscenza della Scrittura; sono rivolte in primis ai monaci non particolarmente colti dello stesso Vivario. Ma nascono anche dopo che Cassiodoro ha assistito al crollo delle basi materiali di vita e delle strutture: un crollo che ha fatto crollare con sé anche le spinte e le motivazioni fondamentali della ricerca.
Ed ecco che tutto ciò comporta, in esse, una certa assenza di problematicità, contenuti ridotti all’osso ed impartiti in uno stile elementare, una strumentalità per certi versi esasperata che implica ripetizione e conservazione del patrimonio classico senza alcun tentativo di ampliamento.
Se Boezio puntava sugli aspetti teorici delle discipline, sui loro caratteri più astratti, Cassiodoro è attento ai contenuti pratici delle varie arti, lungo un filone enciclopedico che avrà grande fortuna in seguito, diventando sempre più nettamente storico-naturalistico: poca letteratura e molti testi, che insegnano come operare nelle varie attività, dall’agricoltura alla medicina, dall’epistolografia alla trascrizione dei codici.
E veniamo all’opera.
Composte nel periodo che va da prima del 551 al 562, le Institutiones ci sono tramandate in tre diverse redazioni d’autore, nonché in copie contenenti interpolazioni successive da parte di allievi: il che comporta non pochi problemi di critica testuale.
In ogni caso, nella redazione definitiva e nella versione più diffusa, esse constano di due libri, divisi l’uno in trentatre capitoli e l’altro in sette: si aprono con una Prefazione, e una seconda Prefazione è anteposta al secondo libro.
La Prefazione generale è illuminante sulla genesi, sulle finalità e sull’ordinamento del testo.
Cassiodoro inizia raccontando del suo vecchio desiderio di aprire a Roma una scuola cristiana: molte persone – afferma – erano state prese dal desiderio di studiare le lettere profane, come se esse fossero il mezzo per raggiungere la saggezza; gli autori profani godevano di una rinomata tradizione, nella totale assenza, invece, di maestri pubblici «che insegnassero le Scritture divine»; assieme al papa Agapito, egli aveva quindi raccolto i fondi per accogliere maestri cristiani che professassero a Roma, ma il progetto non era stato realizzato a causa del dilagare delle guerre. La stesura delle Istituzioni – continua – nasce dal desiderio di colmare quel vuoto, scrivendo per i confratelli da maestro: grazie ad esse, «si renderanno chiare, sempre con l’aiuto di Dio, la serie delle Scritture divine e la breve conoscenza delle lettere profane». Dopo aver chiarito che la sua esposizione non avrà ornamenti retorici, ma sarà «strettamente necessaria», Cassiodoro aggiunge:
«Si sa, però, che l’utilità è grande quando attraverso i libri si apprende da dove derivano sia la salvezza dell’anima sia l’erudizione profana. Ad essi consegno non la mia cultura, ma le parole degli antichi che è giusto ricordare ed è glorioso predicare ai posteri, poiché qualunque cosa si dica degli antichi a lode di Dio non va ritenuta quale odiosa ostentazione».
La via per giungere alla conoscenza delle Scritture è simile alla scala della visione di Giacobbe – una scala che da terra si protendeva fino al cielo, con angeli che salivano e scendevano (Genesi 28, 10-19a) –, ed occorre dunque osservare un preciso programma di lettura: solo dopo avere appreso i salmi, dopo essersi impadroniti delle Scritture ed essersi fortificati con frequenti meditazioni, si potrà passare agli insegnamenti contenuti nei due libri delle Istituzioni.
Essi «indicano opportunamente e brevemente i passi ed i punti da leggere. Di conseguenza, coloro che si dedicano allo studio conosceranno da quali commentatori latini sono stati spiegati i singoli testi. Se poi si troverà che qualcosa è stato detto da questi commentatori con trascuratezza, coloro che conoscono la lingua greca ricerchino nei commentatori greci le parti trattate da questi […]. Ma noi preferiamo seguire, con l’aiuto del Signore, gli scrittori latini, perché, scrivendo noi per gli Itali, riteniamo più vantaggioso menzionare commentatori romani […].Ognuno apprende, infatti, con maggior piacere ciò che viene esposto nella propria lingua, per cui può verificarsi che quello che non si può ottenere attraverso i nuovi maestri possa essere ottenuto ricorrendo agli antichi maestri. Sarà pertanto sufficiente indicarvi gli scrittori più dotti, poiché aver rinviato a loro è provato essere una appropriata completezza di dottrina […]. Avete pertanto nel primo libro presenti e sempre prontissimi i maestri della generazione passata, i quali non vi insegnano con le loro parole, ma piuttosto con i vostri occhi. Moderate dunque con intelligenza, o fratelli studiosi, i vostri desideri imparando nell’ordine dovuto i testi da leggere, imitando cioè coloro che desiderano la salute del corpo. Chi, infatti vuol essere guarito chiede ai medici quali cibi deve mangiare per primi, quali per secondi, onde evitare che una scomposta voracità affatichi le fievolissime forze delle deboli membra, piuttosto che irrobustirle. Nel secondo libro, d’altra parte, occorre offrire un assaggio delle arti e delle discipline delle lettere liberali. Riguardo ad esse si commettono, comunque, errori meno pericolosi se si sbaglia mantenendo intatta la fermezza della fede. Qualsiasi argomento si troverà nelle sacre Scritture riguardo a tali arti e discipline, sarà meglio compreso grazie ad una precedente informazione. Si sa, infatti, che gli indizi di queste arti e discipline vennero sparsi come semi nell’origine della sapienza spirituale e che successivamente i maestri delle lettere secolari li trasferirono con grande abilità nelle loro regole».
La Prefazione continua con l’invito a leggere e rileggere le Scritture, perché, anche se si raccontano casi di persone incolte, miracolosamente in grado di leggerne, comprenderne, interpretarne dei passi a seguito delle loro preghiere, non si possono avanzare sempre a Dio simili richieste, ma ci si deve attenere alla propria istruzione, invocando l’aiuto divino per meglio conoscere. Prima delle poche parole di conclusione, infine, nei paragrafi nono e decimo, sono contenute indicazioni sui codici contenenti le Scritture, sul loro esame e confronto, sui segni di interpunzione adottati e sull’ortografia.
I trentatre capitoli del I libro – tanti quanti gli anni di Cristo – contengono i seguenti argomenti:
- dal capitolo 1 al 9 si esaminano i vari libri della Bibbia (Ottateuco, i Re, i Profeti, libro dei salmi, libro di Salomone, scrittori sacri, Vangeli, lettere degli Apostoli, atti degli Apostoli e Apocalisse);
- il capitolo 10 – Sui modi dell’apprendimento – fa da cerniera fra i primi nove e i successivi, e fornisce indicazioni su autori di opere introduttive alla Sacra Scrittura appartenenti ai secoli IV-VI (il teologo donatista Ticonio Afro, Agostino, Eucherio di Lione, Adriano Esegeta, Giunilio Africano);
- il capitolo 11 tratta dei primi quattro concili ecumenici (Nicea nel 325, Costantinopoli nel 381, Efeso nel 431 e Calcedonia nel 451), che hanno sancito la verità della fede cattolica, stabilendo di fatto una interpretazione irrefutabile della Sacra Scrittura;
- i capitoli 12, 13 e 14 si occupano delle divisioni della Sacra Scrittura secondo Girolamo, Agostino e la traduzione dei Settanta (il testo biblico in greco più diffuso);
- il capitolo15 – Sulla cautela con cui si deve correggere la sacra Scrittura – verte sui problemi attinenti all’esatta trascrizione della Bibbia e sulle possibili o necessarie correzioni da apportare al testo;
- il capitolo 16 contiene un lungo elogio della Bibbia e della Trinità, fondato sull’autorevolezza dei vescovi e teologi del IV/V secolo Ilario di Poitiers e Niceta di Remesiana, nonché dei Padri della Chiesa Ambrogio e Agostino, tutti presentati come tenaci oppositori delle eresie;
- il capitolo 17 si sofferma sugli scrittori di storia religiosa (in particolare, Giuseppe Flavio, autore nel I secolo delle Antichità Giudaiche; Eusebio di Cesarea, vissuto a cavallo fra III e IV secolo, e autore della Storia ecclesiastica; Girolamo, con Gli uomini illustri, opera scritta sul finire del IV secolo);
- i capitoli dal 18 al 22 sono riservati rispettivamente a Ilario di Poitiers, al vescovo del III secolo Cipriano, ai Padri della Chiesa Ambrogio, Girolamo e Agostino;
- nel capitolo 23 sono riuniti l’abate Eugippio e il famoso monaco Dionigi il Piccolo, entrambi del V/VI secolo;
- il capitolo 24 – L’amore con cui si deve leggere la sacra Scrittura – contiene esortazioni a leggere la Bibbia con amore;
- il capitolo 25 offre il suggerimento di studiare la cosmografia, al fine di conoscere l’ubicazione delle diverse località bibliche (vi compaiono interessanti riferimenti anche all’astrologo greco del I secolo Tolomeo);
- il capitolo 26 riguarda l’uso di sigle e segni per passi biblici e per interi libri conservati nella biblioteca del monastero, utile al fine di una lettura della Bibbia più facilmente orientata;
- il capitolo 27 anticipa in qualche modo la materia del secondo libro, soffermandosi sulle discipline del trivio e del quadrivio;
- il capitolo 28, partendo dalla consapevolezza dei limiti scolastici di numerosi monaci, contiene un incoraggiamento alla lettura della Bibbia anche per i meno dotti (ché la perfetta sapienza può anche essere elargita direttamente da Dio); se poi i monaci non saranno capaci di comprendere la Bibbia, si dedichino pure ai lavori manuali, ma leggano comunque autori che hanno descritto la vita agreste, come ad esempio Columella;
- il capitolo 29 è dedicato alla descrizione degli orti e dei vivai di pesci di Vivario, nonché del monastero nel suo complesso;
- il capitolo 30, vertendo sulla trascrizione dei codici, contiene, oltre ad un elogio, una serie di istruzioni per i copisti;
- il capitolo 31 riguarda l’assistenza ai malati, invita alla conoscenza di medicina e farmacologia, e suggerisce una serie di letture utili allo scopo;
- il capitolo 32 consiste in una esortazione agli abati perché educhino i confratelli alla pratica delle virtù;
- il capitolo 33 contiene una preghiera al Signore, perché conceda ai lettori della sua legge la grazia di progredire nella comprensione, e conceda loro anche la remissione dei peccati.
Abbiamo detto che il capitolo 27 anticipa, per così dire, il II libro, e lo fa riconoscendo alle Arti il merito di essere di aiuto nella comprensione della letteratura sacra. Intitolato Sulle figure e sulle discipline, vi si legge infatti:
«[…] poiché sia nelle lettere sacre sia nelle opere dei più dotti commentatori molto possiamo comprendere attraverso le figure, molto attraverso le definizioni, molto attraverso la grammatica, molto attraverso la retorica, molto attraverso la dialettica, molto attraverso l’aritmetica, molto attraverso la musica, molto attraverso la geometria e l’astronomia, non è inutile occuparsi brevemente nel libro successivo dei fondamentali insegnamenti forniti dai maestri secolari, cioè delle arti e delle discipline unitamente alle loro divisioni, affinché coloro che hanno appreso tali insegnamenti siano di nuovo brevemente informati, e quelli che per caso non hanno potuto apprenderli in misura più ampia possano ricevere una qualche conoscenza dalla mia succinta esposizione. La conoscenza, infatti, di queste discipline è senza dubbio utile e non trascurabile, a giudizio anche dei nostri Padri, poiché la trovi diffusa ovunque nelle lettere sacre, come se fosse all’origine dell’universale e perfetta sapienza. Quando, infatti, queste discipline saranno restituite alle lettere sacre e saranno in esse messe in evidenza, la nostra capacità di comprendere verrà aiutata in tutti i modi. Sia, dunque, l’opera degli antichi, la nostra opera, affinché noi spieghiamo brevissimamente nel secondo libro, come abbiamo detto, gli scritti che essi hanno pubblicato […] e richiamiamo con lodevole devozione al servizio della verità ciò che essi hanno sviato per esercitare l’astuzia, affinché tutto quello che noi abbiamo preso da essi furtivamente sia restituito onorevolmente al servizio della giusta comprensione».
Coerentemente con quanto preannunciato, il II libro tratta delle Arti liberali. Si apre con una Prefazione in cui, all’inizio, si chiarisce il simbolismo del numero 33, ovvero gli anni di Cristo al momento del suo sacrificio per la salvezza dell’umanità, nonché il simbolismo del numero 7, che rimanda ai capitoli del II libro.
«Il precedente libro […]contiene […] una introduzione alle lettere divine. Esso si compone di trentatré capitoli […]. Ora è il momento di articolare il testo di questo secondo libro in altri sette capitoli, cifra, che, ritornando di continuo su se stessa nella successione delle settimane, si estende fino alla fine del mondo intero. Si deve sapere chiaramente che spesso la sacra Scrittura vuol indicare con questo numero tutto quello che intende presentare come continuo ed eterno. Ad esempio David dice: Sette volte al giorno ti ho lodato, mentre in un altro momento afferma: Benedirò il Signore in ogni tempo; sempre la sua lode sarà sulla mia bocca […]. Nell’Esodo, inoltre, il Signore disse a Mosè: Farai sette lampade […]. L’Apocalisse menziona questo numero in diverse circostanze. Questa stessa cifra poi ci porta verso quel tempo eterno che non può finire, per cui viene sempre giustamente menzionata quando si parla di un tempo senza fine. Così viene molto lodata l’aritmetica, dal momento che Dio creatore dell’universo ha strutturato i suoi disegni secondo le leggi del numero, del peso e della misura…».
Nel quarto paragrafo è quindi contenuta una spiegazione dei termini liber e ars, e vengono presentati gli argomenti del libro:
«Entriamo ora nella parte iniziale del secondo libro e prestiamo ad essa un po’ più di attenzione. Essa è, infatti, ricca di etimologie e piena di trattati contenenti definizioni. In questo libro dobbiamo innanzi tutto parlare della grammatica che è senza dubbio l’origine e il fondamento delle lettere liberali. Il vocabolo “libero” deriva da “libro” (in realtà due parole diverse, non legate etimologicamente fra loro), vale a dire dalla corteccia dell’albero, staccata e resa libera, sulla quale gli antichi, prima dell’invenzione della carta, scrivevano i responsi degli oracoli […]. Si deve sapere che, come afferma Varrone, gli inizi di tutte le arti sono stati determinati da una qualche utilità. Il termine “arte” deriva dal fatto che essa con le sue regole limita [il verbo latino usato è artare] e costringe fortemente. Secondo altri questo vocabolo deriverebbe dal greco apo tes aretes, cioè “dalle virtù” che uomini esperti chiamano conoscenza di ogni materia. Come seconda dobbiamo parlare dell’arte retorica, che per lo splendore e la ricchezza dell’eloquio, è necessaria specialmente nelle questioni civili. In terzo luogo dobbiamo trattare della logica che viene chiamata dialettica. Quest’arte, secondo i maestri secolari, separa il vero dal falso per mezzo di brevi e sottili discussioni. In quarto luogo dobbiamo trattare della matematica, che abbraccia quattro discipline, e precisamente l’aritmetica, la geometria, la musica e l’astronomia […]. La matematica è la scienza che considera la quantità astratta: quantità astratta, infatti, è detta quella che noi, staccandola con l’intelletto dalla materia e dagli altri accidenti, trattiamo con il solo ragionamento […]. Ora, con l’aiuto del Signore, presentiamo nell’ordine promesso i singoli argomenti mediante distinzioni e definizioni[…]. Non passeremo sotto silenzio gli autori si greci sia latini grazie ai quali sono divenuti celebri gli argomenti che presenteremo, affinché quanti vorranno leggerli con interesse possano capire più chiaramente le parole dei nostri antenati dopo essere stati introdotti da riassunti».
I sette capitoli sono dunque intitolati ognuno ad un’Arte, e quelli dedicati al quadrivio hanno il titolo globale De Mathematica.
Per avere un’idea del modo in cui la materia è organizzata nei singoli capitoli, leggiamo quello sulla Grammatica:
«La grammatica, come mostra l’etimologia del vocabolo (gramma significa “carattere grafico”, “lettera”), deriva il suo nome dalle lettere dell’alfabeto. Si legge che Cadmo per primo ne trovò sedici e le fece conoscere ai Greci che, estremamente interessati a tale materia, aggiunsero le altre mettendo a frutto l’acutezza del loro ingegno. Delle posizioni e delle qualità delle lettere hanno trattato con acume Eleno (autore non identificato) in greco e Prisciano (attivo a Costantinopoli nella prima metà del VI secolo, e autore di una monumentale grammatica in diciotto libri) in latino. La grammatica è l’arte di parlare bene acquisita da famosi scrittori di poesia e di prosa. Il suo compito è quello di proporre scritti in prosa o in versi privi di difetti; il suo fine è quello di piacere mediante un’irreprensibile perizia capace di raggiungere uno stile o una scrittura ben rifiniti. Sebbene gli scrittori dei tempi più antichi abbiano parlato della grammatica seguendo metodi diversi e siano stati tenuti in gran conto presso le loro generazioni […], a noi tuttavia piace porre al centro Donato (grammatico del IV secolo, maestro anche di Girolamo, e autore di due Artes grammaticae – Ars minor e Ars maior –, che costituiscono di fatto il più completo corso di grammatica latina tramandatoci), particolarmente adatto ai più piccoli ed utile ai novizi. Di lui abbiamo lasciato in biblioteca due commenti in modo tale che, a parte la sua semplicità, egli possa diventare ancor più chiaro attraverso due differenti spiegazioni. Abbiamo scoperto che anche sant’Agostino ha scritto qualcosa su questa materia per istruire brevemente i fratelli più semplici. Vi ho lasciato queste opere da leggere affinché non sembri mancare nulla agli incolti che si preparano a raggiungere le vette di una scienza così importante. Donato nella seconda parte (nell’Ars maior) tratta i seguenti temi: la voce articolata, la lettera, la sillaba, i piedi, gli accenti, la punteggiatura o distinzioni e di nuovo le otto parti del discorso, le figure, le etimologie e l’ortografia […]. Siano sufficienti queste brevi parole limitate alle sole definizioni. Chi vorrà avere più ampie e complete conoscenze di tale materia legga, assieme alla sua prefazione, il codice che ho fatto scrivere in maniera succinta sulla grammatica affinché il lettore diligente possa trovare ciò che egli riconosce deputato a quello scopo. Ora veniamo alle divisioni e alle definizioni dell’arte retorica che, se di per sé è già estesa ed ampia, è stata ulteriormente arricchita dalla trattazione di molti e famosi scrittori».
Il capitolo sulla retorica, molto più esteso del precedente, è basato prevalentemente su testi di Cicerone e del vescovo Fortunaziano di Aquileia del IV secolo; come già per la grammatica, anche in questo caso Cassiodoro fornisce una bibliografia.
Per la dialettica, in un capitolo molto esteso, oltre ai filosofi antichi, sono ricordate le traduzioni e i commenti di Boezio ad Aristotele e Porfirio; sono citati anche Apuleio e Marziano Capella.
Fonte per il lungo capitolo sull’aritmetica è Boezio, mentre, sulla musica, la cui trattazione si innesta nella tradizione agostiniana, il trattato boeziano non viene mai ricordato; in entrambi i capitoli sono presenti le relative bibliografie.
Il capitolo sulla geometria è particolarmente sintetico: la trattazione si limita alla spiegazione del nome, all’impiego di questa scienza da parte degli Egiziani, alla spiegazione della sua origine fornita da Varrone; succinta anche la parte relativa alle varie figure geometriche, nonché alle fonti. Riguardo all’astronomia, che alla geometria è strettamente legata, Cassiodoro, col solito schematismo, ne presenta la definizione e la ripartizione; accenna ai vantaggi da essa arrecati a marinai e contadini, e mette in guardia dal suo impiego distorto finalizzato a conoscere il futuro; quanto alla bibliografia, si rimanda a Varrone, a Seneca e alle traduzioni boeziane di Tolomeo.
L’utilità e i vantaggi delle lettere ai fini del raggiungimento della vita eterna vengono ribaditi nella lunga Conclusione, e, nell’ulteriore sottolineatura dell’intento didascalico dell’opera, appare particolarmente significativo il secondo paragrafo, laddove Cassiodoro mette in guardia contro l’astrologia, mentre ogni cosa va asservita a gloria del Signore:
«Ma alcuni, sedotti dalla bellezza e dal fulgido splendore dei corpi celesti, ricercando con somma frenesia le cause della propria perdizione, sono precipitati con le menti accecate nei corsi delle stelle in modo tale che attraverso calcoli nocivi che si chiamano astrologia, sono convinti di poter conoscere il futuro. Costoro sono stati concordemente condannati, per non parlare dei nostri, da Platone, Aristotele e da altri uomini di eccezionale ingegno, spinti dalla verità degli stessi fatti, affermando che tale credenza genera piuttosto confusione di avvenimenti. Se, infatti, il genere umano fosse spinto alle varie azioni dalle forzate condizioni di nascita, perché i buoni costumi dovrebbero meritare lode e quelli cattivi dovrebbero incorrere nella punizione delle leggi? E sebbene gli scrittori sopra menzionati non fossero devoti alla sapienza celeste, tuttavia colpirono giustamente gli errori di questi uomini con la testimonianza della verità. Di questi dice l’Apostolo: Voi osservate i giorni e i mesi; temo di essermi affaticato invano per voi [Lettera di Paolo ai Galati 4, 10-11]. Per questo anche nel Deuteronomio [18, 10-13] il Signore comanda più ampiamente: Non ci sia presso di te chi faccia purificare il proprio figlio o la propria figlia, chi attraverso il fuoco faccia l’indovino e predica le sorti, né augure o mago, né ventriloquo che faccia incantesimi, né chi esamini i prodigi ed interroghi i morti. Il signore Iddio Tuo caccia chiunque compia queste azioni».
Non possiamo dire con certezza quale fosse il grado di conoscenza dei numerosi testi – più latini che greci –, a vario titolo citati. Fra i latini, sono numerosi quelli pagani, anche se molti sembrano conosciuti solo in maniera superficiale, attraverso manuali scolastici della tarda antichità; di altri, la conoscenza diretta sembra in qualche modo garantita dalla certezza della loro presenza a Vivario, come il De inventione di Cicerone o l’Institutio oratoria di Quintiliano. Se autori come Ennio, Terenzio, Virgilio o Livio sono citati più o meno occasionalmente e in contesti poco significativi, più spesso e significativamente sono citati Varrone (per i Disciplinarum libri) e Marziano Capella: anche se, di quest’ultimo, Cassiodoro afferma di non essere riuscito a trovare un esemplare delle Nuptiae.
Per quanto concerne la fortuna, durante il Medioevo fu sicuramente maggiore quella del II libro: una fortuna dovuta alle Etymologiae di Isidoro, che lo utilizzò pur senza sapere cosa e di chi fosse, nella forma di un manuale anonimo in forma leggermente interpolata rispetto all’originale di Cassiodoro. Lo utilizzò poi anche Alcuino di York, uno dei principali artefici della rinascita carolingia (730-804), nel suo programma di rinnovamento culturale alla corte carolingia: e fu proprio il fatto di essere entrato nei programmi di studio a far conoscere al libro una diffusione quasi capillare.
Nella rovina generale di un mondo, con la conseguente disgregazione del suo patrimonio culturale, in Italia, Boezio e Cassiodoro si fanno dunque felicemente interpreti della necessità di recuperare e riordinare il sapere greco-romano scampato alla caduta dell’impero. Ma, se il primo occupa un posto di fondamentale importanza nella formazione del pensiero medievale, per avere assicurato, con le sue opere, la trasmissione di temi e problemi della cultura antica, il secondo riveste un ruolo particolarmente significativo nella conservazione e tradizione materiale dei testi classici. Anche se non risulta che Vivario abbia avuto una funzione diretta nel trasmettere tali testi – come la ebbero invece altri monasteri –, Cassiodoro arricchì infatti la sua fondazione di una buona e funzionale biblioteca e sottolineò l’importanza della trascrizione dei manoscritti: basti pensare al capitolo XXX del I libro delle Istituzioni.
Peraltro, i monasteri – come appunto quello di Vivario, o più ancora quello di Montecassino, fondata nel 529 da Benedetto da Norcia; o come, successivamente, quello di Bobbio, fondato da Colombano attorno al 614 –furono di fatto le uniche oasi culturali in questi primi secoli: e, se oggi noi possiamo leggere autori come Cicerone, Virgilio, Orazio, dobbiamo ringraziare i monaci di quei monasteri, che, magari capendoci poco, passarono lunghissime giornate a copiarli parola dopo parola, pagina dopo pagina, volume dopo volume.