Secondo una lunga tradizione, Trotula sarebbe stata la più famosa delle mulieres Salernitanae: addirittura il simbolo di un nuovo tipo di donna ‘urbana’, avvantaggiata dal clima culturale delle città, in particolare di una città cosmopolita e vivace quale Salerno.
Sennonché, Bernardo Provenzale, che pure, come abbiamo visto, ci informa con cura sulle ricette delle anonime mulieres, sembra ignorarne completamente l’esistenza, o, quantomeno, non reputa necessario farla emergere dall’anonimato delle altre mulieres.
La verità è che, alla luce dei documenti, l’esistenza di Trotula non è inoppugnabilmente confermata da alcuna evidenza storica: si tratta di una figura abbastanza misteriosa, il cui mistero è strettamente connesso ai testi che le vengono attribuiti.
Nelle narrazioni che la riguardano, risultano molte discrepanze, e la sua biografia è stata di fatto costruita – e romanzata – sulla base di congetture.
Medica, moglie, madre, autrice del libro più importante sulla medicina della donna dell’Europa medievale, Trotula sarebbe nata e vissuta a Salerno nel secolo XI, o più probabilmente nel primo XII, dall’antica e nobile famiglia De Ruggiero, una presunta famiglia di medici su cui manca però ogni documentazione; avrebbe sposato il celebre medico Giovanni Plateario il vecchio, dandogli due figli (Giovanni il giovane e Matteo), anch’essi noti come maestri della scuola, i magistri Platearii, sulla cui collocazione temporale non si hanno di fatto certezze.
Nella sua Storia ecclesiastica, lo storico medievale inglese Orderico Vitale (XI/XII secolo) racconta che Rodolfo Malacorona, un normanno di nobile stirpe che, prima di farsi monaco, aveva compiuto in Francia approfonditi studi medici, era giunto a Salerno nel 1059, e lì non aveva trovato nessuno che fosse in grado di tenergli testa nella scienza medica tranne una nobildonna assai colta: basandosi su una congettura, uno studioso dell’Ottocento (Salvatore De Renzi) identificò la sapiens matrona con Trotula, e questa identificazione ebbe grande successo. Dopo di che, particolari inventati e notizie comunque non verificabili, a partire proprio dalla ricostruzione di De Renzi, si accumularono e sommarono nel tempo, fornendo viso e connotati ad una Trotula affascinante: una delle donne più belle del suo tempo, il cui funerale, nel 1097 (data che è in realtà una pura invenzione), sarebbe stato seguito da un corteo di ben tre chilometri.
Peraltro, nel Dit de l’Herberie / Il detto del mercato delle erbe, il trovatore parigino Rutebeuf, attivo fra il 1215 e il 1280, faceva affermare al suo personaggio – un ciarlatano, venditore di erbe medicinali, protagonista di un ironico sproloquio imbonitorio – di essere al servizio di una nobildonna salernitana di nome Trota, la donna più saggia del mondo: a suo dire, questa donna inviava i suoi emissari in diversi paesi, dalla Puglia alla Calabria alla Toscana e persino nelle foreste delle Ardenne, per uccidere animali feroci dai quali estrarre unguenti per curare i propri ammalati; a lui, nello specifico, aveva fatto giurare che, a chi avesse voluto ascoltarlo, avrebbe insegnato come liberarsi dai vermi. «Madama Trota di Salerno», definita come «la dama più saggia che vi sia sulle quattro parti della terra», è descritta in maniera a dir poco grottesca – «Con le sue orecchie ci si fa un copricapo e le sue sopracciglia le pendono come catene d’argento sulle spalle» –: ma il fatto che un imbonitore scelga di evocare proprio il nome di Trota per convincere dei poveri creduloni testimonia quanto la sua fama fosse già all’epoca diffusa anche fra la gente comune.
Circa un secolo dopo – come abbiamo visto – Geoffrey Chaucer ricordava Trotula – e non Trota – nei suoi Racconti di Canterbury: e, a prescindere dal motivo per cui il suo nome sia inserito nella fantomatica miscellanea sulle «donne cattive» denominata Valerio e Teofrasto, l’inserimento stesso testimonia che la fama della mulier Salernitana, superando i confini della letteratura scientifica in latino, si andava diffondendo anche nelle letterature in volgare. Di questo, peraltro, fanno fede, tra il XIV e il XV secolo, tutta la serie di rielaborazioni e traduzioni in volgare delle opere – sue o a lei attribuite –, riunite da tempo in un unico corpus, la già citata Summa quae dicitur Trotula, o semplicemente la Trotula (v. 1. Il libro delle «donne cattive»).
Come si è già avuto occasione di dire, la leggenda di Trotula nacque e prese piede già nel XIII secolo, quando la Trota (o Trocta o Trotta) reale – che ha, come avremo modo di vedere, una sua esistenza storicamente documentata – e la Trotula leggendaria, ‘autrice’ della Summa che porta il suo nome, sembrano fondersi ormai in una sola figura, come ci testimonia fra gli altri un anonimo autore francese della seconda metà del secolo, che, nel dialogo Placide et Timéo, parla espressamente di Trotula: «In primo luogo vi dico che una donna filosofa di nome Trotula, che visse a lungo e che fu assai bella in gioventù e dalla quale i medici ignoranti traggono grande autorità e utili insegnamenti, ci svela una parte della natura delle donne. Una parte può svelarla come la provava in sé; l’altra perché, essendo donna, tutte le donne rivelavano più volentieri a lei che a un uomo ogni loro segreto pensiero e le aprivano la loro natura».
Di natura diversa – particolarmente importante come attestazione dell’esistenza della medica di nome Trota – è la testimonianza che ci viene precedentemente da un documento risalente alla fine del XII o agli inizi del XIII secolo. Si tratta di una compilazione anonima, dal titolo De aegritudinum curatione / La cura delle malattie, in cui sono raccolti e condensati per uso scolastico scritti di autori vari: divisa in due parti, nella prima si esaminano i diversi tipi di febbre, mentre nella seconda si trovano le cure per le varie malattie, ed è in questa seconda parte che si riportano le opinioni di sette celebri esponenti della scuola medica salernitana, fra cui appunto Trota, unica donna.
C’è infine un altro testo che, pur senza farne il nome, rimanda alla domina salernitana, presentandocela, ben prima di Rutebeuf, come un personaggio ammantato ormai di leggenda: si tratta di una novella in versi di Maria di Francia (seconda metà del XII secolo), intitolata I due amanti, in cui compare un personaggio che sembra in tutto e per tutto ricalcato su Trota, o Trotula che dir si voglia. In relazione ad una prova quasi impossibile da superare per poterla sposare, la giovane protagonista dice all’amante: «Ho in Salerno una mia parente; è una ricca signora, di grandi sostanze; abita là da più di trent’anni; e ha tanto atteso all’arte medica ch’è bene esperta di filtri e di rimedi. Conosce così bene le erbe e le radici che, se voi vorrete andarla a trovare e portarle una mia lettera e spiegarle il vostro caso, essa se ne darà cura e pensiero; vi darà tali preparati farmaceutici e tali filtri che tutto vi riconforteranno e v’infonderanno gran forza». Seguendo il consiglio, il giovane arriva in Italia e va a stare a Salerno, dove si presenta alla parente, consegnandole la lettera: la donna lo trattiene presso di sé, per conoscerne bene la costituzione; lo rafforza quindi con le sue medicine; poi gli consegna un vasetto, contenente un filtro capace di eliminare ogni stanchezza, oppressione o affanno, ravvivando tutto il corpo, dopo di che lo rimanda nel suo paese.
Come si può facilmente intuire, basandoci sulle diverse citazioni riportate non è molto ciò che sulla leggendaria e affascinante Trotula ci è dato oggettivamente sapere. Peraltro, ad attestarci l’esistenza reale di una medica di nome Trota – nome di donna peraltro abbastanza comune in Italia meridionale nei secoli XI-XIII) –, a prescindere dal racconto di Retebeuf, abbiamo la citazione del suo nome e dei suoi scritti medici all’interno di un testo scientifico e affidabile quale il De aegritudinum curatione, mentre, ad attestarci esplicitamente la sovrapposizione delle figure di Trota e Trotula, abbiamo, nel XVII secolo, il compendio storiografico di Antonio Mazza (Historiarum epitome de rebus Salernitanis).
Negli anni Settanta del Novecento c’è stata però una scoperta importante, che ha fatto luce sulla figura di Trota e sulla sua identificazione con Trotula. È stato infatti trovato un manoscritto del XIII secolo, contenente diversi opuscoli medici, fra cui uno rubricato come Practica secundum Trotam: oltre che nel ‘titolo’, il nome Trota compare anche su un margine del testo, mentre nelle parole iniziali del testo stesso è presente il nome Trotula (Hic incipit practica secundum Trotula), così come nell’Indice generale degli opuscoli.
Ad un attento esame, l’opuscolo di Trota sulla Medicina pratica ha portato inoltre a fare chiarezza su almeno un aspetto dell’annosa questione relativa al ‘riconoscimento’ di Trotula quale autrice della Summa quae dicitur Trotula: una attribuzione messa ripetutamente in dubbio da una critica filologica più o meno accorta e più o meno dichiaratamente sessista.