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Trotula 1. Il libro delle «donne cattive»

2024-06-10 15:43

Claudia Pandolfi

Letteratura femminile, I racconti di Canterbury, Geoffrey Chaucer, La novella della donna di Bath, Summa quae dicitur Trotula, Trotula,

Trotula 1. Il libro delle «donne cattive»

Nell'Inghilterra del XIV secolo un gruppo di pellegrini, diretti alla tomba di Thomas Becket a Canterbury, si intrattiene raccontandosi una serie di n

Nell'Inghilterra del XIV secolo un gruppo di pellegrini, diretti alla tomba di Thomas Becket a Canterbury, si intrattiene raccontandosi una serie di novelle: sono questi i Racconti di Canterbury, opera composta da Geoffrey Chaucer tra il 1386 e il 1400.  

Fra le novelle, una delle più conosciute è quella della Donna di Bath, nel cui Prologo la donna stessa – benestante, intraprendente, energica ed estremamente  vivace – si racconta con estrema libertà, affrontando temi quali l’assurda imposizione della verginità o il diritto a godere dei piaceri del sesso, e parlando estesamente dei suoi cinque mariti: i primi tre buoni, ricchi e vecchi; il quarto un traditore da lei ripagato con la stessa moneta; il quinto, un giovane di vent’anni, sposato per amore quando lei ne aveva quaranta, un mascalzone manesco e però bravissimo nel procurarle piacere.  

Questo quinto marito, che aveva studiato per qualche tempo a Oxford – narra la donna –,  le faceva continuamente prediche, citando le gesta degli antichi romani, la Bibbia, antichi detti, ecc. «Aveva un libro – afferma –  che si divertiva a leggere notte e giorno; lo chiamava Valerio e Teofrasto, e con quel libro rideva sempre a crepapelle. C’entrava anche un letterato di Roma, un cardinale, detto San Gerolamo, con un suo trattato Contro Gioviniano; c’erano pure Tertulliano, Crisippo, Trotula ed Eloisa, quella che faceva la badessa non lontano da Parigi; e poi i proverbi di Salomone, l’Arte di Ovidio e molti altri testi, tutti rilegati in un unico volume. Ogni sera e ogni giorno, appena aveva tempo ed era libero da altri impegni, leggeva quel libro che parlava di donne cattive. Sapeva su di loro più vite e miracoli di quanti ve ne siano nella Bibbia su donne virtuose. Certo, è impossibile che un letterato parli bene delle donne, a meno che non si tratti della vita di qualche santa; ma mai di nessun’altra […]. Perdio, se le donne scrivessero storie, come fanno i chierici nei loro oratori, direbbero degli uomini più male di quanto la razza d’Adamo possa mai riparare […]. Una sera dunque, Giannino, mio marito, si mise a leggere il suo libro, seduto accanto al fuoco, incominciando da Eva, che col suo peccato portò alla rovina tutto il genere umano, motivo per cui fu ucciso lo stesso Gesù Cristo […]. Mi lesse poi come Sansone perdette i suoi capelli […]. Poi, se non sbaglio, mi lesse di Ercole e della sua Deianira […]. Non si scordò neppure delle pene e dei dolori sofferti da Socrate con le sue due mogli, né di come Santippe gli buttasse la piscia in testa […]. Arrivò perfino a dirmi che per lui la storia di Pasifae, regina di Creta, era una soave storia […]. La storia di Clitennestra poi, quella che per libidine fece uccidere il marito a tradimento, la lesse addirittura con devozione […]. Mi raccontò di Livia e di Lucilla, due che uccisero il marito, l’una per amore e l’altra per odio».   

L’elenco di exempla procede a lungo, arrivando dall’antichità al medioevo; e numerosi sono anche i proverbi citati. Alla fine, la donna non ne può più, strappa alcune pagine del libro ancora in mano al marito e sferra un pugno al marito stesso, mandandolo a finire riverso nel fuoco; il marito si tira su e le dà a sua volta un pugno in testa, lasciandola svenuta a terra. Ed ecco che tutto si sistema: l’uomo promette che non la picchierà più, lei gli dà un ceffone in faccia e si rifiuta di parlare. «Ma alla fine – continua il racconto –, con gran pena e fatica, riuscimmo a metterci d’accordo. Lui mi diede tutta la briglia in mano, lasciandomi il governo della casa e delle terre, come pure della sua lingua e delle sue mani, ed io gli feci subito bruciare il libro. E dopo che con astuzia riebbi tutto il comando […] da quel giorno non facemmo più nessuna lite».  

Dunque il libro di Giannino comprendeva autori e testi che avevano come argomento principe l’infelicità della vita matrimoniale. Il ‘titolo’ «Valerio e Teofrasto» rimanda infatti chiaramente allo scrittore inglese Walter Map (XII/XIII secolo) e all’antico filosofo greco Teofrasto, entrambi autori  di opere contro le nozze: la Dissuasio Valerii ad Ruffinum philosophum ne uxorem ducat, di Walter Map, è  un pamphlet misogino scritto in forma di lettera indirizzata da tale Valerio all’amico Ruffino con l’intento di esortarlo a non  sposarsi; il De nuptiis di Teofrasto è un trattatello andato perduto, di cui però abbiamo ampia notizia nell’invettiva scritta da San Girolamo contro Gioviniano (Adversus Iovinianum). Il libro comprendeva inoltre, «tutti rilegati in un unico volume», testi del padre della chiesa Tertulliano e dell’antico filosofo greco Crisippo, i Proverbi di Salomone (dal Libro dei proverbi della Bibbia), l’Ars amandi / L’arte di amare di Ovidio e, quantomeno insolitamente, anche «Trotula ed Eloisa»: scritti che, palesemente, col loro moralismo cupo e intransigente, con la loro più o meno esplicitata misoginia, nonché con i racconti sulle donne e delle donne in essi presenti, dovevano servire a mettere in luce tutti i difetti e le nefandezze femminili.  

Di Eloisa e della fama da lei raggiunta abbiamo già parlato (v. Eloisa o Storia della mutilazione di un’anima), e, per diverse ragioni, possiamo arrivare a comprendere il perché del suo inserimento in una miscellanea – che non sappiamo se davvero esistente – volta a dissuadere gli uomini dal matrimonio, e a fare delle donne un oggetto di esecrazione e di scherno. Più difficile parrebbe invece comprendere, almeno di primo acchito, la presenza di Trotula, la medica salernitana per secoli riconosciuta come un’autorità indiscussa nel campo dei disturbi e delle malattie femminili e nel campo della cosmesi: la donna che, dal XII al XVI secolo, fu universalmente ritenuta autrice del libro di medicina che proprio da lei prendeva nome, la Summa quae dicitur Trotula o, più brevemente, la Trotula.