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La tragedia di Fedra da Euripide a Seneca. Capitolo ottavo: La "Fedra" di Seneca e l’incomunicabilità

2021-11-09 17:58

Claudia Pandolfi

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La tragedia di Fedra da Euripide a Seneca. Capitolo ottavo: La "Fedra" di Seneca e l’incomunicabilità

In Seneca, gli uomini sono ‘orfani’ della divinità: sono guidati dalla propria volontà e sono pienamente responsabili delle proprie azioni: Nella sua

In Seneca, gli uomini sono ‘orfani’ della divinità: sono guidati dalla propria volontà e sono pienamente responsabili delle proprie azioni. Nella sua visione, l’umanità tutta è lasciata sola ad arginare le proprie passioni, nel tragico conflitto fra il desiderio di assecondarle e la razionale volontà di estirparle. Ed è una umanità destinata peraltro a risolvere i propri conflitti nella più disperata solitudine individuale, immersi come appaiono tutti i personaggi in un drammatico vuoto comunicativo.     

 

Quella della incomunicabilità è sicuramente una cifra di lettura significativa nei rapporti fra i personaggi della Fedra: una incomunicabilità già presente nell’Ippolito euripideo, ma evidenziata in Seneca fin dall’inizio dalla monodia di apertura di Ippolito e dal primo monologo di Fedra, che illuminano due condizioni psicologiche ed esistenziali opposte, prefigurando una assoluta impossibilità di comunicazione fra i due, reciprocamente chiusi in mondi del tutto inconciliabili fra loro.

     

Ambigua è la comunicazione fra Fedra e la nutrice.     

 

Non esiste comunicazione nel dialogo fra la nutrice e Ippolito, segnato come esso è dal mascheramento di intenzioni della nutrice e dall’incapacità di interazione di Ippolito.     

 

Non incontrandosi mai, Teseo e Ippolito sono immersi in un vuoto totale di comunicazione, e la loro si configura come una relazione eternamente mancata.     

 

Assoluta è – almeno fino alla scena finale – l’incomunicabilità di Teseo e Fedra.     

 

Tragicamente fallimentare è anche la comunicazione tra Fedra e Ippolito, che già il contrasto iniziale fra la monodia dell’uno e il monologo dell’altra, prefigurava come impossibile.  

E, nelle parole di Fedra prima di uccidersi, l’impossibilità di quella comunicazione si mostra in tutta la sua tragicità: perché Fedra, folle d’amore, anche di fronte al cadavere straziato di Ippolito, continua a desiderare la comunicazione e il contatto con lui, e, in un delirio appassionato, nega la sua morte, e lo supplica di rimanere in vita quel poco che basta per ascoltare ciò che lei ha da dirgli: che lei si unirà per sempre a lui nella morte, che lo seguirà oltre la vita attraverso le paludi e i fiumi infuocati del Tartaro. E il tentativo di comunicazione è accompagnato dall’ultimo disperato tentativo di contatto, l’offerta ad Ippolito dei propri capelli, quasi a significare una trasformazione e a prefigurare un matrimonio con lui sia pure agli Inferi: un gesto destinato ovviamente a rivelarsi disperatamente inutile.  

In un gioco di richiami, il delirante desiderio di interazione di Fedra con un Ippolito ormai morto non fa altro che rendere drammaticamente visibile l’incomunicabilità da cui già era stato segnato il dialogo reale fra i due, con l’incapacità del giovane a relazionarsi, la sua lontananza emotiva, la sua radicale impossibilità di vera comunicazione e contatto: come prima gli aveva detto che l’avrebbe seguito in mezzo al fuoco, in mezzo al mare infuriato, fra le rocce e i fiumi vorticosi, così Fedra dichiara alla fine che lo seguirà attraverso le paludi del Tartaro e i fiumi infuocati; come prima aveva cercato un contatto fisico con lui prostrandosi per due volte alle sue ginocchia, così gli offre alla fine i propri capelli.  

Ed è così che, immediatamente prima di conficcarsi la sua spada nel petto, finalmente forse consapevole dell’impossibilità di tutto, o forse in un’ultima disperata ricerca di contatto comunicativo, Fedra invita Ippolito a riprendersi la sua vera casta natura, pagando lei, col proprio sangue, il tributo alla sua purezza.