Con l’espressione “medicina moderna” si intende generalmente lo sviluppo scientifico-medico avvenuto nell’epoca moderna, ovvero dal XV al XIX secolo. Il precursore di questa medicina viene spesso identificato nel medico svizzero Teofrasto Paracelso (1493-1541), ma è noto a tutti che le grandi scoperte in ambito medico-scientifico risalgono all’Ottocento. Dunque la medicina moderna ha una lunga storia: ma è una storia in cui troppo a lungo le donne non trovano posto.
Abbiamo ricordato il libro di Antonio Mazza, in cui si parla di donne che, a Salerno, insegnavano medicina (v. 2 La Scuola medica salernitana); e ancora, sappiamo che nel 1321 il duca Carlo di Calabria consentì a Francesca di Romana di esercitare la chirurgia, e che, grazie agli insegnamenti paterni, Costanza Calenda si addottorò in medicina all’università di Napoli nella prima metà del XV secolo. Sennonché, dopo di lei, gli storici individuano in Lucrezia Cornaro Piscopia la prima donna laureata in medicina nel mondo: e siamo all'Università di Padova nel 1678. Perché le donne possano accedere alla professione di medico senza difficoltà, bisogna però arrivare al XX secolo, quando esse raggiungono comunque a malapena il 12% del numero degli operatori medici.
In tutti questi secoli, fino alla metà del XX secolo, la medicina popolare, soprattutto quella ostetrico-ginecologica, rimane invece quasi esclusivamente connotata al femminile: i suoi caratteri consistono nella naturalità del rimedio, nella facile reperibilità, e nella quasi completa gratuità, non escluso, a volte, il ricorso alla preghiera terapeutica. Tutto ciò può facilmente prestarsi a insinuazioni malevole, ed è questa una storia che ha origini antiche: basti ricordare che il famoso medico catalano Arnaldo da Villanova, agli inizi del XIV secolo, attribuiva alle levatrici salernitane la pratica, alla nascita di un bambino, di tenere in mano tre granelli di pepe, pronunciando su ognuno di essi una preghiera; dopo di che il pepe veniva somministrato in una pozione alla partoriente, al cui orecchio veniva sussurrata, assieme al Pater noster, una misteriosa formula magica (Bizomie lamion lamium azerai vachina deus deus sabaoth). Per Arnaldo, queste donne non erano ostetriche, ma venivano considerate alla stregua di fattucchiere e praticone: e, in questa stessa ottica, donne che come loro praticavano la medicina popolare subirono nel XV secolo una sanguinosa caccia alle streghe. Il 5 dicembre 1484 veniva promulgata da Innocenzo VIII la bolla Summis desiderantes affectibus / Desiderando con supremo ardore, collegata ad eventi accaduti da poco in Germania e relativa alla stregoneria: in essa il papa denunciava che certe donne si erano rese responsabili di abiura della fede, amplessi demoniaci, danni provocati magicamente a persone animali comunità e frutti della terra. Tra il 1486 e il 1487, i due inquisitori domenicani tedeschi Jakob Sprenger e Heinrich Krämer redigevano il Malleus maleficarum / Il martello delle malefiche, che, inizialmente concepito come un commento alla bolla e un racconto giustificativo del proprio operato e dei propri programmi immediati, finì con l’assumere i caratteri di un vero e proprio manuale di caccia alle streghe, stabilendo il legame diretto fra stregoneria e sesso femminile. Nel nostro contesto, è interessante il fatto che, toccando temi quali le pratiche contraccettive o abortive e le attività illecite delle streghe quali mediche e ostetriche, i due inquisitori entravano nel mondo della medicina popolare empirica, investendola e stravolgendola con una carica fortemente sessuofoba e misogina. Da quel momento, non solo si cercò di vietare alle donne di esercitare la medicina nelle forme non istituzionalizzate, ma si proibì loro di accedere a competenze mediche scientifiche di tipo universitario: una proibizione destinata a perdurare nei secoli.
Come è facile capire, date queste premesse, Trotula non poteva non essere destinata a rappresentare quasi un emblema per il movimento femminista e per le studiose che si dedicavano e si dedicano alla storia delle donne: nel lungo spazio dei secoli in cui il mondo della parola scritta era patrimonio esclusivo degli uomini, Trotula, infatti, non solo aveva scritto, ma l’aveva fatto non all’interno di generi letterari marginali, bensì invadendo un campo scientifico prettamente maschile. Ed è comprensibile che il fuoco di fila concentrato su Trotula, con la proposta di trasformarla prima in Eros e poi in Trottus, sia stata denunciata come un tentativo di cancellare persino l’identità di un personaggio scomodo in quanto donna. Oggi siamo in grado di fare almeno un po’ di chiarezza su alcuni aspetti della questione.