«Ripristiniamo il latino alle medie, per insegnare l’italiano come si deve»
«Gli studenti scrivono sempre peggio. Ripristiniamo il latino nelle Scuole Medie»
«Ripristiniamo il latino nella Scuola Media»
«Ripristiniamo il latino nei licei scientifici ed artistici»
Post di questo genere compaiono spesso su Facebook, sollevando discussioni e raccogliendo il più delle volte consensi.
L’assunto fondamentale, per quanto riguarda la conoscenza della lingua latina, è che il suo studio sia indispensabile per imparare l’italiano e le lingue in genere: questo, nella convinzione aggiuntiva che il latino sia la via più efficace per impadronirsi delle strutture logiche del linguaggio, e per formare la capacità di analisi e di dominio dell'espressione.
A livello più generale poi, l’assunto è che lo studio del latino – lingua e letteratura – sia indispensabile per una formazione generale del gusto e per la formazione di una coscienza storica.
Ovviamente, ognuna di queste asserzioni può essere facilmente contestata: qualunque lingua moderna può essere insegnata efficacemente anche senza il ricorso al latino; il gusto si può formare anche leggendo autori più ‘moderni’; la visione storica può prescindere dal contatto diretto con i testi e i documenti antichi, letti nella loro lingua originale.
Eppure in ognuna di queste asserzioni c'è qualcosa di vero:
- lo svolgimento storico della cultura e della civiltà europea fa sì che, per noi italiani, la conoscenza della cultura e della civiltà classica – latina soprattutto – sia un elemento importante per acquisire una coscienza storica organica e per comprendere a fondo la nostra letteratura e la nostra arte;
- se imparare le lingue dell'Occidente ha una valenza più ampia che conoscerle per lavorare in qualche hotel o fungere da interprete, se comporta cioè anche la conoscenza della cultura e della civiltà dei diversi popoli europei, allora conoscere il mondo latino è, se non indispensabile, sicuramente utile;
- se pure è vero che l'analisi e il dominio dell'espressione non sono date necessariamente dalla conoscenza della lingua latina, si può sostenere che nella scuola media, abolito il latino, sia venuta meno anche l'assimilazione di un tipo di analisi dell'espressione che con lo studio del latino veniva data; e purtroppo, salvo poche e rare eccezioni, non si è stati capaci (le cause sono molteplici) di trasmettere – come sarebbe stato auspicabile – nuovi ed adeguati strumenti di acquisizione della lingua italiana.
Ciò nonostante, la pretesa di reintrodurre lo studio del latino nella Scuola Media è, a mio avviso, quantomeno antistorica: la società è profondamente cambiata, i ragazzi sono profondamente cambiati, e, se in un dato ambiente, con una data tradizione, con dati insegnanti, un certo tipo di studio produceva determinati effetti, oggi non sarebbe così. Il vero impegno dovrebbe piuttosto consistere nel riuscire ad impostare una didattica in grado di fare ottenere ai ragazzi risultati equivalenti, sia in termini di ‘conoscenza’ dell’italiano, sia in termini più genericamente formativi: e si tratta sicuramente di un percorso irto di difficoltà.
Un discorso diverso potrebbe essere fatto invece per quanto concerne il latino nelle scuole superiori, sia per quelle in cui ancora lo si insegna un po’ che per quelle in cui se ne auspica il ripristino, ma credo sia una questione molto complessa, non certo liquidabile con degli slogan: una questione che necessiterebbe innanzi tutto del coinvolgimento attivo del corpo docente, messo oggi di fronte a giovani che verso il passato nutrono ben poco interesse, e sui quali le discipline umanistiche esercitano una carica attrattiva pressoché inesistente. Di fatto, non è che studiare Dante o Shakespeare sia ritenuto dai ragazzi più ‘utile’ dello studiare Virgilio, così come occuparsi dei Comuni o delle Signorie appare loro altrettanto 'inutile' che occuparsi dell'età di Augusto: ma, rispetto alle altre discipline, l’insegnamento del latino presenta uno scoglio in più, non indifferente e molto difficile da superare, ovvero l’acquisizione delle competenze linguistiche.
Diciamo la verità: non è facile imparare, anche superficialmente, la lingua latina; non è facile insegnarla e non è facile rinnovarne l’insegnamento.
Non è facile, perché la riflessione linguistica sulle strutture del latino è ancora abbastanza arretrata; perché le difficoltà del latino sono aggravate dal fatto di essere una lingua morta; e perché il suo essere lingua morta rende molto difficile l'applicazione di metodologie d'insegnamento di tipo 'attivo'.
A fronte di questi problemi, la risposta che solitamente viene data rientra appieno in una logica di ritualizzazione: come a dire che, nell'insegnamento, di fatto, si è mutato ben poco, mentre la situazione circostante è completamente mutata.
Sennonché, non è facile non cadere nella logica della ritualizzazione, soprattutto tenendo conto dell'insegnamento, a sua volta ritualizzato, trasmesso a suo tempo ai docenti stessi, e del fatto che, troppo spesso, i libri di testo sono ancora lo specchio di una didattica vecchia e inefficace per le nuove condizioni che si sono create.
Quando si parla dell’insegnamento del latino nelle scuole superiori, quando se ne auspica il ripristino in più scuole, senza conoscere a fondo le problematiche connesse a questo insegnamento, il rischio è che si stia in realtà chiedendo di usare tempo ed energie – di docenti e studenti – per insegnare superficialmente una lingua morta con metodologie inadeguate.
Occorrerebbe forse avere la consapevolezza che – escludendo i Licei classici, tenuti a fornire competenze specifiche anche in ambito linguistico – questo insegnamento potrebbe avere, sì, una sua valenza importante, ma ben altro dovrebbe essere l’approccio generale e generalizzato: ovvero un approccio prevalentemente storico-culturale, basato sulla lettura in traduzione italiana di molti testi, e finalizzato a gettare luce su una civiltà e una cultura che sono alla base della nostra realtà odierna.
La conoscenza della civiltà antica è sicuramente un valido strumento per illuminare la complessità della nostra cultura, mostrando, ad esempio, come le nostre millantate ‘origini cristiane’ facciano in realtà parte di un intreccio inestricabile con le ‘origini pagane’ preesistenti, e come sia sempre esistita una cultura popolare profondamente radicata e mai scalfita dalla religione cristiana.
Lo sviluppo letterario, artistico e filosofico della cultura europea è fondato su un rapporto, consapevole o inconsapevole, di continuità, di imitazione o di contrapposizione rispetto alla cultura classica che, se non necessario, risulta quantomeno utile per la comprensione dei fenomeni successivi.
La nostra stessa cultura materiale – dagli alimenti all’uso delle materie prime, dall’organizzazione del lavoro ai divertimenti, dagli insediamenti abitativi ai trasporti, dal commercio alle modificazioni inflitte all’ambiente, ecc. – mostra tratti di sostanziale continuità rispetto al mondo antico.
Quanto al livello di competenza linguistica concretamente raggiungibile, dubito fortemente che, in pochissime ore settimanali distribuite nell’arco di cinque anni, qualcuno possa arrivare a leggere e comprendere testi latini di una qualche complessità.
Come già si riscontra nella progettazione didattica di diverse scuole superiori, credo che un valido obiettivo potrebbe essere l’acquisizione di nozioni basilari inerenti la fonetica, la morfologia e la sintassi, nonché uno studio mirato ed approfondito del lessico, unitamente alla capacità di leggere e comprendere testi semplici: perché, se è vero che la lingua latina può avere una funzione nel formare la capacità di analisi e di dominio della nostra lingua, che appunto dalla latina deriva, sarebbe sicuramente proficuo riuscire quantomeno ad evidenziare come il latino sia di fatto una componente dell’italiano, riscontrabile nelle strutture, nel lessico e nei linguaggi scientifici.
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