"Una casa senza libri è come una stanza senza finestre" (Cicerone)

"Una casa senza libri è come un corpo senz’anima" (Cicerone)
"Una casa senza libri è come un uomo senz’anima" (Cicerone)

Ut conclave sine libris, ita corpus sine anima (Cicerone)
Sine libris cella, sine anima corpus est (Cicerone)
Aedes sine libris similis corpori sine spiritu   (Cicerone)
Domus sine libris est sicut corpus absque anima (Cicerone)

Una breve indagine – seppure asistematica – consente di affermare con certezza che negli scritti di Cicerone non si trova alcuna di queste citazioni, tutte ‘spacciate’ per sue: siamo palesemente di fronte ad una delle innumerevoli falsificazioni che vedono coinvolto lo scrittore latino, e che godono di una sorprendente fortuna.
Per quanto concerne la prima – “Una casa senza libri è come una stanza senza finestre” –, si tratta sicuramente di una traduzione dall’ inglese A house without books is like a room without windows: frase scritta dal politico ed educatore statunitense Horace Mann, nato nel 1796 e morto nel 1859 (The Duty of Owning Books = Il dovere di possedere libri, 1859). Parrebbe che sia stata attribuita per la prima volta a Cicerone da J. M. Braude, nella sua raccolta di detti e frasi celebri (Speaker's Desk Book of Quips, Quotes and Anectodes, Prentice-Hall 1963, p. 52).

Quanto alle altre – “Una casa senza libri è come un corpo (o un uomo) senz’anima” = Ut conclave sine libris, ita corpus sine anima / Sine libris cella, sine anima corpus est / Aedes sine libris similis corpori sine spiritu / Domus sine libris est sicut corpus absque anima –, il concetto, espresso in modi più o meno simili, si ritrova in diversi autori, ed esiste anche un proverbio russo che assimila esplicitamente una casa senza libri ad un corpo senza anima (Maison sans livres est comme corps sans âme). Non mi è stato finora possibile risalire all’origine della falsa attribuzione a Cicerone.

Se le citazioni sono false, risponde  al vero l’amore che Cicerone aveva per i libri: libri che, alla sua epoca, avevano però un aspetto molto lontano dai nostri, e costi estremamente superiori.

La forma più antica di ‘libro’ è rappresentata dal ‘rotolo’ (volumen) di papiro. Il rotolo recava su una faccia la scrittura, in una serie di colonne: chi leggeva lo doveva svolgere gradualmente, arrotolando la parte già vista, sicché alla fine la spirale risultava capovolta, e andava srotolata e arrotolata di nuovo prima che un altro lettore potesse servirsene; ad una delle estremità del rotolo pendeva solitamente un’etichetta di pergamena col titolo. La scomodità era notevole, tanto più che alcuni rotoli erano di lunghezza considerevole: larghi ventisei/ventotto centimetri erano lunghi di solito sette/otto metri, raramente più corti di due metri e mezzo o più lunghi di dieci/dodici metri.. I guasti erano comprensibilmente facili e frequenti, data la scarsa resistenza del materiale. Il papiro veniva preparato tagliando sottili strisce dal midollo fibroso di una pianta che cresceva prevalentemente sul delta del Nilo: due strati di strisce venivano sovrapposti ad angolo retto e compressi insieme per formare i fogli che venivano poi incollati insieme per formare il rotolo.
Solo nella seconda metà del I secolo d. C. – ben dopo Cicerone– i rotoli di papiro cominciarono ad essere sostituiti dai codices in pergamena, di forma più o meno simile ai nostri libri.
Sulla base di testimonianze letterarie e di reperti archeologici, l’immagine che possiamo farci di una biblioteca all’epoca di Cicerone – come si evince anche da alcune sue epistole – consiste dunque, approssimativamente, in una serie di rotoli collocati in scaffali o in armadi chiusi, presumibilmente a file sovrapposte, con i titoli bene in vista, sporgenti all’infuori, tutti rigorosamente catalogati.

Quanto all’impegno economico richiesto dall’acquisto dei libri, ciò che accomuna tutti i manoscritti, sia su papiro che su pergamena, è ovviamente la lentezza e la laboriosità dell’operazione, con tutti i problemi di manodopera connessi e la conseguente lievitazione dei costi: nell’antichità, per non far salire alle stelle il prezzo del prodotto finito, il problema fu risolto con l’impiego degli schiavi, ma si trattava comunque di manufatti preziosi, alla portata di ben poche persone.  

Sui libri da lui posseduti, quasi tutte le informazioni ci vengono da Cicerone stesso: da una serie di accenni, disseminati all’interno della sua vastissima produzione, e soprattutto all’interno del suo epistolario (nei 16 libri di epistole Ai familiari, nei 3 Al fratello Quinto, e, in particolare, nei 16 Ad Attico che coprono gli anni dal 68 alla fine del 44). Dalle testimonianze, si evince con sicurezza il possesso di un cospicuo materiale librario, di cui parte collocato nella casa di residenza di Cicerone a Roma, parte nella villa di Tuscolo e parte nella villa di Anzio, ma è ipotizzabile che egli conservasse libri in tutte o quasi le sue ville più importanti.
Il primo riferimento all’allestimento organico di una biblioteca lo troviamo in un’epistola all'amico di sempre Attico, scritta a Roma, agli inizi del 67 (Att. I, 7). Undici anni dopo, al ritorno dall’esilio cui era stato costretto dal marzo del 58 fino all’estate del 57, vediamo Cicerone preoccupato di riorganizzare il suo patrimonio librario, in parte disperso, in parte depredato o distrutto, come ci testimoniano essenzialmente un gruppo di tre lettere ad Attico, tutte inviate da Anzio nel giugno del 56 (Att. 4,4a,1 - 4,5,3 - 4,8,2): durante la sua assenza erano state infatti saccheggiate e in parte distrutte la sua casa sul Palatino e alcune sue ville. Nella prima lettera, Cicerone parla del catalogo compilato per lui da un famoso grammatico, annotando come i libri rimastigli avessero «un valore molto superiore» a quanto non avesse creduto; e chiede ad Attico di mandargli un paio di addetti della sua libreria, col materiale necessario per provvedere al restauro dei rotoli e all’inserimento delle etichette coi titoli. Nella seconda, elogia di fatto gli esperti inviati da Attico per il lavoro svolto, esprimendo la propria soddisfazione per l’abbellimento della biblioteca con i suoi scomparti ordinati e le etichette coi titoli. Nella terza, riconfermando la propria soddisfazione, annota come, a seguito dei lavori, sembrava che alla sua casa fosse stata attribuita un’intelligenza (mens addita videtur meis aedibus): ed è questo, forse, l’unico passo in cui si può trovare qualcosa di simile all’affermazione che i libri siano per la casa ciò che l’anima è per il corpo.