Quando si parla di letteratura, si indica di solito il complesso delle conoscenze letterarie, storico-letterarie, filologiche, ma soprattutto linguistiche e storico-linguistiche, necessarie per lo studio dei testi di una determinata cultura: non può infatti esistere letteratura senza scrittura, e dunque senza lingua. Non a caso, l’etimologia del termine ( da littera = lettera dell’alfabeto) stabilisce una immediata connessione con i caratteri scritti, ovvero con l’attività dello scrivere: e in effetti, originariamente, “letteratura” è tutto ciò che viene affidato alla scrittura.

Se già di per sé – per tutte le conoscenze che vi sono implicate – il concetto di “letteratura” appare articolato e complesso, i progressivi cambiamenti da esso subiti nei secoli, con i ripetuti restringimenti e allargamenti in relazione ai tipi di produzione scritta che potessero o meno rientrarci, ne hanno reso estremamente complessa la definizione.
Semplificando, possiamo comunque affermare che, oggi, il termine “letteratura” ha fondamentalmente due accezioni.
Come recita ad esempio il Dizionario italiano Garzanti, “letteratura” significa:
«1. Le opere scritte in prosa o in versi che hanno valore o intento artistico; l’insieme di tali opere scritte in una lingua o proprie di un paese, di un’epoca, di una cultura, di un genere: la letteratura italiana, inglese, francese; la letteratura antica, classica, moderna; la letteratura del Trecento, dell’Ottocento; la letteratura narrativa, poetica, cavalleresca; la letteratura drammatica (l’insieme dei testi di teatro)… 2. Il complesso delle opere relative a una scienza, a una materia; anche la bibliografia relativa ad un autore: letteratura giuridica, medica; la letteratura dantesca, petrarchesca».
La prima definizione implica ovviamente un rapporto con l’estetica, che la seconda esclude invece totalmente: e questo, indipendentemente dal contenuto dell’opera, perché va da sé che qualunque tipo di scrittura, su qualunque argomento, possa assumere «valore o intento artistico».
A partire dal significato etimologico, si è giunti naturalmente a questo duplice significato sulla base dell’uso che della parola è stato fatto nei secoli: il significato infatti – soprattutto per quanto attiene a nozioni, a categorie mentali, e non ad oggetti concreti – non viene dato mai soltanto dall’etimologia, ma subisce nel tempo slittamenti semantici, si evolve e si modifica sulla base del consenso dei parlanti, adattandosi a determinate convenzioni linguistiche. E, se, nel mondo antico, il termine aveva un’accezione molto vasta, comprendendo di fatto tutte le opere scritte, col passare del tempo il suo significato è andato soggetto – come abbiamo detto – a progressive modificazioni.
Ad esempio, fra il Seicento e l'Ottocento, la “letteratura”, come insieme di conoscenze specifiche, comprendeva i testi degli autori latini e greci, e canoni di autori e di opere scritte nelle lingue moderne; ma, nel Settecento, era ancora possibile escludere dal canone le opere teatrali dei due secoli precedenti e il romanzo, o, più in generale, tutta quella che noi potremmo chiamare letteratura di intrattenimento; e, ancora negli ultimi decenni del Settecento, l’insieme delle opere scritte, considerate nel loro aspetto estetico, erano preferibilmente chiamate “poesia” oppure “eloquenza”.
Con la rivoluzione borghese, invece, vennero promossi a “letteratura” tutti i generi di prosa: “letteratura” divenne allora ogni forma di scrittura che si rivolgesse al pubblico tramite l’editoria e il mercato librario; e, in corrispondenza con questa estensione di significato, la parola “poesia” restrinse la propria area e la specializzò, non solo contrapponendosi a “prosa”, ma anche indicando uno specifico valore, una specifica qualità ed elevatezza di linguaggio. Le esigenze ideologiche della borghesia, unite alle possibilità offerte dalla nascente industria culturale, nobilitarono dunque dei generi che la cultura classicista aveva escluso dai livelli alti. Contemporaneamente, però, determinarono una tendenza contraria: col diffondersi di antipatie e insofferenze verso un’accezione allargata di “letteratura”, che avrebbe finito col discreditare la funzione letteraria e la parola medesima, si assistette infatti alla formazione di una produzione e di un consumo letterario di élite, in una differenziazione fra ‘alto’ e ‘basso’, dove ‘alto’ si identificava con gli scritti di immaginazione e di invenzione. Furono così separate dalla nozione di “letteratura” in senso proprio sia le scritture scientifiche e storiche, sia il giornalismo e la cosiddetta letteratura di consumo.
A partire dalla fine del XIX secolo, l’atteggiamento letterario tornò a rivendicare i propri diritti nelle forme del saggio, delle scritture critiche, della diaristica autobiografica, nonché nelle prose di meditazione: si tornò cioè a rivendicare sovranità alla “letteratura” anche su terreni che le erano stati in qualche modo sottratti.
Se, alla luce di questo breve excursus, torniamo alle due accezioni che il termine ha oggi per noi, ci rendiamo conto che, fondamentalmente, è tuttora operante la separazione fra ‘alto’ e ‘basso’. A seconda dell’oggetto della scrittura, a seconda del fine che uno scrittore si propone, l’attività letteraria presenta cioè una sorta di divaricazione: da una parte, una letteratura ‘alta’ di creazione; dall’altra, una letteratura di riflessione o di studio, nonché una letteratura ‘bassa’ o di consumo.

Quanto alla “letteratura latina”, definire cosa sia è apparentemente facile: a rigore di termini potremmo infatti asserire che essa rappresenta l’insieme dei testi letterari scritti in lingua latina, senza limiti cronologici di sorta.
Sennonché, anche in relazione alla storia della lingua latina, è convenzione universalmente diffusa indicare con tale denominazione la letteratura del mondo romano antico, o, per meglio dire, tutti gli scritti che di quel mondo sono sopravvissuti. La "letteratura latina" comprende insomma tutte le opere giunte fino a noi, che a loro tempo – approssimativamente dal III secolo a. C. al V/VI d. C. – furono direttamente fruibili da una comunità che usava appunto il latino come lingua di comunicazione: dunque, non soltanto produzione artistica fissata con l’aiuto della scrittura, non soltanto opere considerate nel loro aspetto estetico e passibili per così dire di una fruizione artistica, non soltanto scritti di immaginazione e di invenzione, ma anche scritti non in contiguità con poesia e arte , scritture scientifiche, opere di riflessione e studio, ecc..
Col che, il termine “letteratura” torna palesemente ad essere usato nel suo originario significato etimologico.

Ugualmente per convenzione, le “letterature latine” delle epoche successive – anch’esse caratterizzate peraltro dalla medesima varietà di produzione – sono definite sempre con una aggettivazione di ordine temporale (“letteratura latina medievale”, “letteratura latina umanistica”), e sono oggetto di studi specifici.